Gaeta / Intitolazione di una strada a Generale Taddeo Orlando: scoppia la polemica

Gaeta Politica

GAETA – Il Comune di Gaeta non tenga assolutamente in considerazione la richiesta, formalizzata dall’ex comandante della Compagnia di Gaeta dei Carabinieri Aldo Lisetti e sostenuta da una petizione di circa 70 firme, che è finalizzata ad intitolare una strada della città alla memoria del Generale di Corpo d’Armata delle Trasmissioni e Genio Taddeo Orlando. Non bastavano le accuse contenute in un dossier approntato dal circolo cittadino di Rifondazione Comunista che si è aggiunto un altro che due storici locali, come Luigi Cardi e Nicola Reale, hanno inviato anche al Prefetto di Latina Maria Rosa Trio e al sindaco Cosmo Mitrano per bloccare l’intitolazione di una via al Generale Orlando che, originario di Gaeta dov’era nato il 23 maggio 1885, si sarebbe macchiato di una serie di presunti crimini di guerra e, dunque, l’intitolazione di una strada in sua memoria “è una proposta irricevibile perché gravemente offensiva della storia della Città di Gaeta, medaglia d’argento al valore civile per le immani distruzioni e sofferenze patite durante l’occupazione nazista del 1943-’44”.

Il generale Orlando, che morì a Gaeta il 1 settembre 1950, aveva iniziato la sua carriera nel 1940 come Capo di Gabinetto del quadrumviro Emilio De Bono al ministero dell’Interno, “rimase saldo nella sua fede fascista anche durante l’adempimento degli alti incarichi che, incredibilmente, gli furono affidati con la nascita del nuovo Stato democratico. La condotta criminale del generale Orlando non si esplicò soltanto negli eccidi di migliaia di partigiani e di civili compiuti in Slovenia nel corso della Seconda Guerra Mondiale, ma ebbe a ripetersi anche sul territorio nazionale allorché diede disposizioni di sparare su un corteo che il 19 ottobre 1944 manifestava a Palermo per il pane e contro gli abusi del mercato annonario, provocando 28 morti e 155 feriti.

Durante l’occupazione italiana della Jugoslavia il generale Orlando assunse il comando della Divisione fanteria dei Granatieri di Sardegna,operando in Slovenia,dal maggio 1941 al settembre 1942, e in Croazia nei 2 mesi successivi. Gli alti comandi dell’esercito, che avevano la gestione dell’ordine pubblico in Jugoslavia, optarono per la strategia della “terra bruciata”. In un vertice tenuto a Fiume il 23 maggio 1942, il generale Mario Roatta, comandante dell’esercito italiano nella provincia di Lubiana (II Armata), annunciò l’appoggio di Mussolini alla linea dura dei generali: “Anche il Duce ha detto di ricordarsi che la miglior situazione si fa quando il nemico è morto. Occorre quindi poter disporre di numerosi ostaggi e di applicare la fucilazione tutte le volte che ciò sia necessario… Il Duce concorda nel concetto di internare molta gente – anche 20-30.000 persone”.

La condotta militare tenuta da Taddeo Orlando fu improntata alla rigida esecuzione delle direttive contenute nella famigerata circolare “3C” a firma del generale Roatta e datata 1 marzo 1942. “Molto simile a quelle utilizzate dai nazisti nello stesso periodo, la circolare Roatta fu una vera e propria dichiarazione di guerra contro le popolazioni civili:si pianificava lo sterminio indiscriminato della popolazione – scrivono Cardi e Reale nella relazione storica inviata al Prefetto di Latina e al sindaco di Gaeta – e si predisponevano misure di particolare ferocia per stroncare la resistenza dei partigiani jugoslavi, disponendo l’immediata fucilazione non soltanto di tutte le persone trovate con le armi in pugno, ma anche di coloro che imbrattavano i manifesti con le ordinanze del Comando militare italiano.
Per quanto concerne la specifica condotta militare tenuta dal generale Taddeo Orlando, una molteplicità di documenti rivelano che sotto il suo comando gli occupanti italiani si macchiarono di numerosi crimini di guerra contro la popolazione civile.

Elementi inconfutabili emergono da una nota riservata che il 3 giugno 1942, il Generale di Divisione Comandante Orlando inviò al comando dell’XI corpo d’armata. Sotto il titolo “Progetto di epurazione della città e provincia di Lubiana dagli elementi sovversivi”, Orlando scriveva: “E’ dimostrato che la cattura e la fucilazione immediata di essi impressiona fortemente i rivoltosi i quali accusano il colpo […] La fucilazione immediata dei capi, oltre a provocare durature ripercussioni morali sul resto della popolazione, costituisce un ragguardevole freno all’attività dei superstiti […] Pertanto mentre va da un lato intensificata la lotta contro i capi tuttora latitanti, ad es. con la costituzione di forti taglie sulla testa dei principali capi, dall’altra si deve procedere inesorabilmente alla fucilazione – come ostaggi – di quelli già catturati”. In una successiva nota riservata del 4 luglio 1942, il generale Orlando comunicò il “prospetto statistico riepilogativo delle operazioni di rastrellamento compiute in Lubiana nei giorni decorsi” e scrisse: “Con l’arresto di 2.858 individui e con quello avvenuto nel periodo precedente di altri 3.000 individui, si è tolto dalla circolazione oltre il quarto degli uomini validi di Lubiana”. Poco meno di un anno fa, il 28 gennaio 2019, il sito www.globalist.it ha pubblicato un articolo nel quale si legge: “In applicazione delle severe disposizioni di Roatta, la notte tra il 22 e il 23 febbraio 1942 Lubiana è posta in stato d’assedio e i Granatieri di Sardegna capitanati da Taddeo Orlando, affiancati da collaborazionisti slavi, rastrellano per settimane con “metodo deciso” migliaia di civili (un quarto degli uomini validi «prescindendo dalla loro colpevolezza» dirà Orlando) e 878 di loro vengono internati nei campi di concentramento. Altri rastrellamenti avverranno tra il 27 giugno e il 1° luglio – con il fermo di 17mila civili – e dal 21 al 28 dicembre, con l’arresto di oltre 500 persone; tra loro donne, vecchi e bambini. In questa “strategia della snazionalizzazione” sono 33mila gli sloveni internati in duecento lager in Italia e sul posto, a morire di freddo, stenti, tifo e dissenteria”

I crimini compiuti dall’esercito italiano in Jugoslavia furono di tale gravità che la Santa Sede ritenne di dover intervenire presso il Comando Italiano perorando una serie di richieste: revisione della situazione personale di tutti gli internati, in base ad un’accurata inchiesta che permetta di distinguere i rei dagli innocenti; sospensione degli internamenti in massa e limitazione di essi ai soggetti veramente colpevoli o fondatamente sospetti; liberazione immediata di coloro che risultino innocenti; dei bambini di età inferiore ai 10 anni,le cui condizioni sembrano particolarmente pietose nei campi di concentramento di Arbe (1.000 bambini) e di Treviso (700 bambini) e che non possono avere la conveniente alimentazione; delle donne, che non risultino colpevoli di delitti specifici e dei malati gravi, e dei cronici, onde possano avere in famiglia le cure necessarie; predisporre le opportune previdenze per coloro che saranno rimpatriati e che troveranno case e villaggi distrutti e allontanamento dai campi di concentramento comuni di tutti i minorenni.

Di questo alto ufficiale dei Carabinieri di Gaeta si è occupato il più importante quotidiano italiano, il Corriere della Sera, pubblicando il 7 agosto 2008 un articolo nel quale si leggeva: “Come giustificare le modalità dei rastrellamenti di Lubiana ordinati dal generale Taddeo Orlando, che nel dopoguerra avrebbe proseguito normalmente la sua carriera? La capitale della Slovenia fu circondata il 23 febbraio 1942 con reticolati di filo spinato. Dei quarantamila abitanti maschi, ne furono arrestati 2.858. Circa tremila vennero catturati in un secondo rastrellamento. La chiusura dei centri abitati con reticolati venne applicata in altre 35 località. Oltre ai maschi adulti venivano deportati anche vecchi, donne e bambini. La maggior parte finiva nel campo dell’isola di Arbe, oggi Rab, in Croazia, dove morirono in 1.500, soprattutto di stenti”.

La condotta del generale Orlando determinò la sua iscrizione nella lista dei criminali di guerra italiani, presentata dal governo di Belgrado alla Commissione delle Nazioni Unite di Londra, nel febbraio del 1945, chiedendo la consegna di alcuni militari del regio esercito tra i quali figurava il generale di divisione Taddeo Orlando, con la specifica accusa che i militari comandati da Orlando avevano ripetutamente proceduto alla immediata fucilazione sul posto di partigiani trovati con le armi, a dare alle fiamme interi villaggi e a deportare la popolazione civile in campi di concentramento italiani. Per avere una visione a tutto tondo della figura del generale Taddeo Orlando, è “bene seguire” la sua vicenda anche dopo il periodo della sua presenza in Slovenia e Croazia – aggiungono Cardi e Reale nella loro relazione inviata al Prefetto di Latina. Assunto, alla fine del 1942, il comando del XX Corpo d’armata in Tunisia, combatté fino alla capitolazione del maggio 1943, quando fu arrestato dagli alleati e condotto come prigioniero in Inghilterra. Ma, a seguito dell’accordo intervenuto tra governo Badoglio e gli alleati, il 5 novembre del 1943 torna in Italia e, sei giorni dopo, si trova ad essere nominato sottosegretario alla Guerra e poi, dal 12 febbraio al 18 giugno del 1944, addirittura ministro della Guerra. Ma la sua carriera non si fermò qui. Nel luglio 1944 venne nominato niente meno che comandante generale dell’Arma dei Carabinieri. “Nella sua nuova veste, subito offrì, questa volta sul territorio italiano, un‘altra prova di capacità omicida, e anche in questa occasione eseguendo le disposizioni del generale Roatta, che in una circolare così si era espresso: “Qualunque pietà e riguardo nella repressione è un delitto […] Non è ammesso il tiro in aria. Si tira sempre a colpire come in combattimento”.

Alla prima occasione Taddeo Orlando avrebbe dato una nuova prova di essere fedele esecutore del ‘Roatta-pensiero’: il 19 ottobre 1944, a Palermo, un corteo per il pane e contro gli abusi del mercato annonario viene attaccato dai reparti delle forze dell’ordine, che provocano 29 morti e 155 feriti tra i manifestanti: “L’eccidio non nasce a caso. Il 31 agosto 1944, il generale Taddeo Orlando, comandante supremo dei carabinieri, aveva diramato l’ordine di affrontare le manifestazioni di popolo senza esitazioni e che sia anzi punito ogni eventuale tentennamento dei tutori dell’ordine”. Sul piano politico, poi, Taddeo Orlando esercitò forti pressioni sul governo Bonomi per contrastare le misure di epurazione – nelle forze armate e nella pubblica amministrazione della nuova Italia democratica – di personaggi che avevano avuto ruoli di rilievo nel Regime fascista. Con una nota riservata del 18 agosto 1944 indirizzata al capo del governo, Taddeo Orlando criticò duramente un processo epurativo che, a suo giudizio, investiva in modo ingiusto funzionari pubblici e ufficiali dell’esercito che «erano stati costretti a giurare fedeltà alla Repubblica Sociale Italiana”. L’ostilità di Orlando nei confronti dell’epurazione si manifestò anche allorché, il 16 settembre 1944, in qualità di comandante dell’Arma, con una nota inviata direttamente al presidente del consiglio Bonomi,”non accolse la richiesta di uomini avanzata dal ministro Carlo Sforza”, che aveva domandato ai carabinieri disponibilità di personale per svolgere il suo lavoro presso l’Alto commissariato per l’epurazione.

La posizione di Taddeo Orlando al comando dell’Arma cessò il 5 marzo 1945, giorno della fuga del generale Mario Roatta dall’ospedale militare Virgilio di Roma, nel corso del processo che lo vedeva imputato per i delitti del Sim (Servizio informazioni militari) fascista, tra cui l’omicidio dei fratelli Rosselli. Orlando, infatti, in qualità di comandante dell’Arma, era il responsabile della sorveglianza dell’imputato e per questo fu rimosso nella riunione del Consiglio dei ministri del 6 marzo. “Fu lo stesso De Gasperi a evidenziare il nesso tra la fuga di Roatta, le responsabilità di Taddeo Orlando e il peso che la questione dei crimini di guerra aveva nel processo in corso”. In quella riunione De Gasperi così ebbe a dire di Orlando:”[…] Contro di lui ci sono delle accuse simili a quelle di Roatta; in questa situazione egli non può rimanere al comando dell’Arma”. Taddeo Orlando dovette lasciare il vertice dell’Arma, ma nonostante il peso delle accuse jugoslave e il caso Roatta, già alla fine del 1946 gli venne assegnato un nuovo e delicato incarico come presidente della commissione di avanzamento per gli ufficiali inferiori nell’esercito. Si trattò di un ruolo che gli permise di proseguire la sua opposizione ad una epurazione nel sistema militare e amministrativo dello Stato che facesse da cesura con il passato fascista. Anzi, si ebbe una “epurazione rovesciata”: molti sinceri democratici sarebbero stati sostituiti con vecchi personaggi compromessi con il fascismo. Un esempio su tutti: fu sollevato dal suo incarico di segretario generale del ministero della Difesa il generale Paolo Supino, di orientamenti repubblicani, per sostituirlo proprio con …Taddeo Orlando.

“Molti autorevoli storici internazionali concordano oggi nel riconoscere la protezione accordata da parte degli inglesi e degli americani a migliaia di criminali di guerra dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale – aggiungono Cardi e Reale – In Italia, inoltre, gli incarichi di natura politica e governativa affidati a Taddeo Orlando– così come ad altri generali accusati di crimini di guerra – crearono un’imbarazzante commistione di interessi che fece sì che nessuno di loro fu mai processato né mai consegnato alle Autorità jugoslave, le quali reiterarono per anni la loro richiesta, anche con l’appoggio della stampa internazionale. Ma soprattutto il ministero dell’Interno operò in modo ostruzionistico affinché la questione dei criminali di guerra italiani fosse definitivamente sepolta…”

Saverio Forte