Solidarietà, le chiese del Golfo di Gaeta a Salvini: “Non restare fermi di fronte a chi soffre”

Attualità Gaeta

GAETA – Non è una lettera ‘contro’ (Matteo Salvini o il governo italiano) ma per ricordare a tutti la missione propria del Cristianesimo: ‘non restare fermi di fronte a chi soffre, per qualsiasi motivo”. Anche nelle chiese del Golfo, come in quelle di tutta la regione, nella domenica della Solennità di Pentecoste è stata data lettura, su personale impulso dell’Arcivescovo di Gaeta, Monsignor Luigi Vari, di una lettera aperta che, elaborata dalla Conferenza episcopale laziale, sta facendo molto discutere a quindici giorno dal voto europeo e dal plebiscitario successo della Lega Salviniana. Il documento affronta le questioni, delicatissime, dell’immigrazione e delle “insufficienti” politiche nazionali a favore dell’accoglienza e della solidarietà.

Nei mesi seguiti alle tensioni sociali verificatesi anche all’interno dei territori laziali, legate alla crescita preoccupante della povertà e delle diseguaglianze i vescovi della regione – guidati dal Cardinale Angelo De Donatis, il vicario di Papa Francesco per la diocesi di Roma – vogliono stare accanto a tutti coloro “che vivono in condizioni di povertà: giovani, anziani, famiglie, diversamente abili, disagiati psichici, disoccupati e lavoratori precari, vittime delle tante dipendenze dei nostri tempi.” La prima riflessione o “rinnovata presa di coscienza”, che si intende promuovere nel laicato, anche in quello del sud-pontino, è che “ ogni povero – da qualunque paese, cultura, etnia provenga – è un figlio di Dio. I bambini, i giovani, le famiglie, gli anziani da soccorrere non possono essere distinti in virtù di un “prima” o di un “dopo” sulla base dell’appartenenza nazionale. Chi è straniero è come noi, è un altro “noi”: l’altro è un dono. È questa la bellezza del Vangelo consegnatoci da Gesù: non permettiamo che nessuno possa scalfire questa granitica certezza.” Insomma italiani o stranieri non fa alcuna differenza: soffrono tutti allo stesso modo.

Il documento della Cei Laziale è chiaro, non vuole rappresentare una difesa a prescindere dei migranti così come censura contestualmente una certa politica protesa alla severità:”Desideriamo, tuttavia, ricordare che quando le norme diventano più rigide e restrittive e il riconoscimento dei diritti della persona è reso più complesso, aumentano esponenzialmente le situazioni difficili, la presenza dei clandestini, le persone allo sbando e si configura il rischio dell’aumento di situazioni illegali e di insicurezza sociale”. I vescovi laziali privilegiano un’altra opzione , quella “dell’accoglienza verso l’altro, soprattutto quando si trovi nel bisogno. Non lasciamo che ci sovrasti una “paura che fa impazzire” come ha detto Papa Francesco, una paura che non coglie la realtà; riconosciamo che il male che attenta alla nostra sicurezza proviene di fatto da ogni parte e va combattuto attraverso la collaborazione di tutte le forze buone della società, sia italiane che straniere.” La chiesa regionale, le sue numerose diocesi, i centri di ascolto della Caritas e tante altre realtà di solidarietà e di prossimità danno quotidianamente il proprio contributo per alleviare le situazioni dei poveri “accogliendo il loro disagio”.

Tanto è stato fatto ma “tanto ancora desideriamo fare, affinché l’accoglienza sia davvero la risposta ad una situazione complessa e non una soluzione di comodo (o peggio interessata). Desideriamo che tutte le nostre comunità – con spirito di discernimento – possano promuovere una cultura dell’accoglienza e dell’integrazione, respingendo accenti e toni che negano i diritti fondamentali dell’uomo, riconosciuti dagli accordi internazionali e – soprattutto – originati dalla Parola evangelica.” L’accorato appello che rivolge la Cei laziale – e l’ha tenuto a sottolineare lo stesso l’Arcivescovo di Gaeta, Monsignor Luigi Vari che della conferenza episcopale regionale è il presidente della Commissione per la cultura, comunicazioni sociali, turismo, sport e tempo libero – alle “nelle nostre comunità” è di non far valere “la cultura dello scarto e del rifiuto” ma si adoperino per far prevalere “una cultura “nuova” fatta di incontro, di ricerca solidale del bene comune, di custodia dei beni della terra, di lotta condivisa alla povertà.”

Saverio Forte