FORMIA – E’ costata cara all’Anas la caduta di un ciclista di Formia finito in un “cratere” al chilometro 139 della strada statale Appia, in località Venticinque Ponti, nei pressi della tomba di Cicerone a Formia. Il giudice di Pace di Gaeta Marianna Oliviero ha condannato l’ente nazionale delle strade a risarcire tutti i danni subiti (compreso il costo, di 416 euro, della riparazione della bicicletta coinvolta nella caduta) da un uomo di Formia che ora ha 60 anni.
L’incidente avvenne di buon mattino il 9 ottobre 2021 quando il ciclista cadde a terra “a causa di una buca presente sul manto stradale che, situata all’interno della carreggiata, non era avvistabile e tantomeno segnalata”. Sul luogo dell’incidente intervennero gli agenti della Polizia locale che, oltre ad effettuare i rilievi di legge, contribuirono a fornire i primi soccorsi al malcapitato, nel frattempo trasferito al Pronto soccorso dell’ospedale “Dono Svizzero” di Formia per le prime cure ed assistenza. L’uomo citò per danni il comune di Formia che gli comunicò di non essere competente in quanto la strada statale Appia è di proprietà dell’Anas.
Un primo tentativo bonario a quest’ultimo ente non sortì l’effetto sperato ed il 60enne, assistito dagli avvocati Mario Ruggieri e Filomena Somma, fu costretto a rivolgersi all’ufficio del giudice di pace. Il procedimento iniziò il 4 maggio 2022 quando si costituì in sua difesa anche l’Anas che, opponendosi alla richiesta di risarcimento danni (la definì infondata), attribuì tutte le responsabilità di quanto avvenuto al ciclista. Lunedì, dopo l’udienza del 22 settembre, la dottoressa Oliviero, ha depositato la sua sentenza di condanna nei confronti dell’Anas facendo leva su un aspetto probatorio composto da un report fotografico e dalle testimonianze acquisite, in primis quella di un agente della Polizia Locale che rinvenne il ciclista ferito e dolorante “dopo essere incappato in una buca presente nell’asfalto, non segnalata e posta al margine destro della carreggiata di pertinenza della bicicletta”.
Lo stesso teste ha riferito nel corso del dibattimento di aver soccorso l’allora 58enne, chiamando il 118 ed allertando la sala operativa per l’intervento della ditta per mettere in sicurezza la strada, e nell’immediatezza di aver “riempito la buca con sassi ivi presenti onde evitare che altri vi cadessero e transennando la buca con il nastro in dotazione”.
Nelle sei pagine della sua sentenza di condanna il giudice di pace Oliviero censura pesantemente l’operato dell’Anas “che non ha messo in atto tutti gli accorgimenti necessari per evitare di danneggiare qualcuno . Infatti la responsabilità per danni da cose in custodia trova fondamento nella relazione esistente tra questi e la cosa ed incontra il proprio limite nell’intervento del caso fortuito. In tema di ripartizione dell’onere della prova deve, pertanto, ritenersi che ,mentre l’attore è tenuto a provare l’esistenza del rapporto eziologico fra la cosa e l’evento lesivo, il convenuto per liberarsi dovrà provare l’esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale, che sia un fatto imprevedibile ed inevitabile di un terzo o del danneggiato stesso, che però non può essere quello prevenibile dal custode attraverso l’esercizio dei poteri di vigilanza spettantigli”.
Tradotto con un linguaggio meno tecnico dal punto di vista giuridico “l’Anas – commentano ora gli avvocati Ruggieri e Somma – non ha dato prova di aver osservato i doveri di vigilanza e di custodia attraverso la segnalazione del pericolo o la pronta rimozione della buca posta sul margine destro della carreggiata pur avendo la possibilità di adottare le più svariate cautele ed apprestare i rimedi necessari per evitare il nocumento degli utenti della strada”.
E ancora il giudice di pace di Gaeta: “La manutenzione delle strade costituisce per l’ente pubblico un dovere istituzionale non correlato ad un diritto soggettivo dei privati, i quali possono far valere soltanto un interesse legittimo al corretto esercizio del potere discrezionale dell’ente medesimo. Il difetto di manutenzione assume rilievo, nei rapporti con i privati, unicamente allorché la pubblica amministrazione non abbia osservato le specifiche norme e le comuni regole di prudenza e diligenza poste a tutela dell’integrità personale e patrimoniale dei terzi. Per l’Anas, oltre il danno anche la beffa: oltre al pagamento del risarcimento danni al ciclista costituitosi parte civile e alla riparazione della bicicletta danneggiata, è arrivata la condanna al pagamento delle spese processuali e quelle affrontate dagli avvocati Ruggieri e Somma.
“Questa sentenza è importante perché un magistrato ha richiamato un ente importante come l’Anas alle proprie responsabilità istituzionali – hanno commentato i due legali – relativamente alla manutenzione attiva delle strade di competenza. Il giudice di pace con la sua sentenza ha evidenziato come l’Anas non ha provveduto ad ottemperare ai suoi compiti sperando e con fidando che qualcun altro provvedesse al posto suo”.
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