Formia / Furto di libri antichi a Montecassino, ricorso per arresto illegittimo

Cronaca Formia

FORMIA – Non doveva essere emesso lo scorso 11 febbraio il provvedimento d’esecuzione con cui gli agenti del Commissariato di Polizia di Formia sei giorni più tardi hanno arrestato Viktoriya Pavlovskiy, l’ucraina di 28 anni coinvolta, con l’accusa di peculato aggravato, nel clamoroso scandalo relativamente ai misteriosi furti di libri antichissimi e di altre opere di inestimabile valore storico e culturale, avvenuti nell’Abbazia di Montecassino, all’epoca dell’abate Vittorelli, e nella Biblioteca Statale dei Girolamini di Napoli. Lo scrive in un articolato incidente di esecuzione che la difesa della donna, ucraina di nascita ma dall’età di 8 anni residente a Formia dove è cresciuta e ha studiato, ha depositato in questi giorni davanti il Gip del Tribunale di Napoli Maria Luisa Miranda.

Quella presentata dagli avvocati Luca Scipione e Leonardo Scinto è, forse, una delle prime opposizioni presentate dal foro della provincia di Latina contro la legge di recente approvazione “Spazza corrotti” che ha inasprito la detenzione e le misure restrittive nei confronti degli imputati che si sono resi protagonisti e promotori di gravi reati contro la pubblica amministrazione, tra cui il peculato che il governo giallo-verde ha inserito su forte richiesta del Movimento Cinque Stelle. Ma la vicissitudine processuale della Pavlovskiy è intrigante e intricata allo stesso tempo come lo è stata la vicenda della sparizione di libri antichissimi presso la biblioteca dell’Abbazia Benedettina di Montecassino e di quella dei Girolamini presso la quale la donna lavorava come segreteria del suo direttore, Massimo Marino De Caro, il consulente dell’ex Ministro Galan che per la sparizione di questi rari manoscritti è stato condannato in via definitiva a sette anni di reclusione.

I guai giudiziari Viktoriya Pavlovskiy iniziarono con l’arresto il 18 aprile 2012 ma si concretizzarono con la condanna con il rito abbreviato del Gip del Tribunale di Napoli del 15 marzo 2013, poi confermata dalla Corte d’Appello ed il 9 aprile 2015 dalla Cassazione a cinque anni e quattro mesi di reclusione. La Pavlovskiy in effetti, dopo queste traversie processuali, aveva ottenuto i domiciliari scontando metà della condanna inflittale dalla Suprema Corte e avviando un’azione di recupero arricchendo il suo già ricco percorso culturale ed accademico con il conseguimento di una laurea in scienze della Comunicazione. Nel giorno in cui, il 18 dicembre scorso, il Parlamento italiano approvava la legge “Spazzacorrotti” la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli emanava, in esecuzione della condanna definitiva, un ordine di esecuzione di carcerazione nei confronti della Pavlovskiy revocando il decreto di sospensione della pena emesso il 28 gennaio 2016 dall’ufficio di sorveglianza del Tribunale di Frosinone. In sintesi la fedelissima segretaria di “Max Fox” sarebbe dovuta tornare in carcere per espiare la pena di 2 anni, 7 mesi e 23 giorni di reclusione. Un’altra data importante in questo labirinto tecnico-processuale è il 28 gennaio scorso giorno in cui la Pavlovskiy, “entro il termine di 30 giorni previsto dall’articolo 656 del Codice di procedurale penale”, presentava presso il Tribunale di Sorveglianza, attraverso la Procura della Repubblica di Napoli (competente per la vicenda dei libri trafugati all’interno della Biblioteca dei Girolamini) una specifica istanza di affidamento in prova ai servizi sociali o, in alternativa , di beneficiare degli arresti domiciliari. E invece tre giorni dopo, il 31 gennaio, entra in vigore la legge “Spazza corrotti”, la numero 3/2019 che ha modificato il regolamento penitenziario del 1975 e ha incluso nell’elenco dei reati ostativi alla concessione dei benefici penitenziari, tra gli altri, anche quello, il peculato, per il quale è intervenuta la sentenza di condanna in esecuzione ai danni della Pavlovskiy.

Di certo gli agenti del vice questore Massimo Mazio dall’emissione del provvedimento di esecuzione della carcerazione alla sua notifica impiegarono quasi una settimana: le ricerche della donna, dopo essere state inizialmente indirizzate a Roma (dove aveva lavorato), si concentrarono a Formia, dove la 28enne era stata saltuariamente notata. Gli investigatori del commissariato, a seguito di specifici servizi di osservazione, riuscirono a rintracciarla ed arrestarla in un’abitazione di Gianola con destinazione il carcere femminile di Pozzuoli dove si trova tuttora reclusa. Nell’incidente di esecuzione presentato al Gip di Napoli Miranda gli avvocati Scipione e Scinto innanzitutto hanno contestato la legittimità del provvedimento con cui la Procura del capuologo campano ha revocato “inspiegabilmente” il suo primo ordine di esecuzione emesso il 18 dicembre e, poi, quello dell’11 febbraio ed eseguito dal Commissariato formiano il 17. La Pavlovskiy non andava arrestata perché la donna aveva chiesto di ottenere l’affidamento ai servizi sociali prima ancora che entrasse in vigore la legge “Spazza corrotti” e, poi, perché la sua istanza non era stata discussa dal Tribunale di Sorveglianza. Per quest’ultima circostanza finisce sott’accusa…la procura di Napoli che “non poteva considerare esaurito il suo procedimento a causa della mancata fissazione – scrivono i legali della dona ucraina – dell’ udienza di trattazione da parte del tribunale di sorveglianza competente a decidere sulla anzidetta richiesta di misure alternative alla detenzione”.

La stessa Procura partenopea avrebbe conferito alla nuova legge processuale (la numero 3/2019) “valore irrimediabilmente retroattivo, arbitrariamente considerandola capace di travolgere effetti già prodotti prima dell’ entrata in vigore (31 gennaio 2019) della medesima legge”. Insomma questo ordine di carcerazione sarebbe fondato “su presupposti giuridici assolutamente errati e in palese violazione di quanto previsto dall’ articolo 11 del Regio decreto numero 22 del 1942 che regola i rapporti giuridici anche in caso di mutamenti normativi. L’incidente di esecuzione al Gip Miranda contiene diverse altre eccezioni, formali e sostanziali, anche di natura Costituzionale. Vi viene messa in evidenza la tipologia della concedibilità delle misure alternative alla detenzione. Tra queste c’è anche la condotta ‘collaborativa’ e riparatoria che, pur prevista per il reato di peculato, è stata manifestata a più ripresa dalla stessa donna ucraina: “Se il percorso di reinserimento è già in corso, non può applicarsi di fatto retroattivamente – concludono gli avvocati Luca Scipione e Leonardo Scinto nel loro ricorso – e una normativa quale quella della esclusione dai benefici penitenziari, che presuppone una presunzione assoluta di pericolosità non compatibile con il fatto che il reinserimento, in libertà o in carcere, sia già in corso.”

Saverio Forte