Cassino / Omicidio Serena Mollicone, in udienza: Santino Tuzi temeva di essere arrestato [VIDEO]

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CASSINO – Santino Tuzi temeva di essere arrestato, vittima di un complotto ordito ai suoi danni. L’ha rivelato il suo legale,  l’attuale sindaco di Arpino Renato Rea nel corso della 44° udienza del processo per la morte  di Serena Mollicone davanti la Corte d’assise del tribunale di Cassino.  L’avvocato Rea ha confermato di aver avuto un incontro con brigadiere di Sora lunedì 7 aprile 2008, due e quattro giorni prima del secondo interrogatorio e del suicidio dell’uomo. Tuzi era il destinatario di un provvedimento disciplinare in ordine alla gestione di alcuni buoni carburante e l’avvocato Rea gli diede un appuntamento per il lunedì della settimana successiva. Il brigadiere, congedandosi, sull’uscio dell’ingresso dello studio Rea, esternò le sue preoccupazioni che il sindaco di Arpino, a distanza di 14 anni, ha definito fondate rispetto alla decisione del suo cliente di togliersi la vita con la pistola d’ordinanza. 

Il generale Luigi Sparagna ha guidato il Comando provinciale dei Carabinieri di Frosinone dal 2007 al 2011 e, dunque, coordinò la riapertura delle indagini dopo la specifica richiesta arrivatagli dall’allora capo della procura di  Cassino Gianfranco Izzo. L’allora colonnello partecipò all’interrogatorio del brigadiere Tuzi del 28 marzo 2008 quando dichiarò di aver avvistato Serena la mattina del 1giugno 2001. Iniziarono gli accertamenti per appurarono la veridicità di quelle affermazioni che rappresentarono una svolta alle intere indagini. Fu scelto il luogotenente Vincenzo Quatrale perchè considerato molto affidabile sul piano professionale mentre il brigadiere Santino Tuzi era apparso molto tranquillò tant’e’ che “lui stesso mi propose di essere trasferito – ha dichiarato Sparagna – e io gli chiesi dove voleva andare” – ha aggiunto Sparagna nell’intervista video allegata.

Incalzato dal pm Maria Beatrice Siravo, Sparagna ha ammesso che fu deficitaria la gestione nel 2001 delle presenze e degli ordini di servizio,definiti marginali e non testi evangelici, nella caserma di Arce ma la loro imprecisione -ha aggiunto- non significa che furono falsi…”.  I Carabinieri non avevano ragione per ipotizzare il coinvolgimento di Tuzi nella vicenda del delitto di Arce ma le dichiarazione del militare del 28 marzo 2008 furono anticipate da due fattori: della presenza Serena in caserma ne avrebbe parlato in precedenza Tuzi in una confidenza fatta alla donna  delle pulizie dello stabile e questo luogo quale scenario del delitto fu ipotizzato dagli stessi inquirenti sulla scorta delle dichiarazioni rese dalla commessa del bar “Chioppetelle” che avrebbe avvistato Serena con un ragazzo, il figlio del comandante della Stazione di Arce, Marco Mottola. Secondo Sparagna il compianto Tuzi, considerando il perno dell’intera ed intricata vicenda, ha tentato di rimodulare e limare le dichiarazioni rese in due interrogatori.  A parteciparvi fu il criminologo dei Carabinieri, il maresciallo Gianluca Giovannini. Nel primo era molto stanco ma pacato, nel secondo, quello del 9 aprile, era molto nervoso quando ritrattò le dichiarazioni del 28 marzo. “Gli dicemmo di togliere la mano, tremolante, dalla fondina della pistola – ha rivelato Giovannini – Dopo aver chiesto di parlare con il Pm Perna, recuperò un po’ di serenità”.

Giovannini ha spiegato che il delitto di Serena fu di tipo relazionale: non ci fu un’aggressione di natura sessuale o al termine di un furto o rapina andata male. Gli autori furono o due che scelsero il conosciuto boschetto di Fonte Cupa, considerato “intimo e riservato”. Il cadavere fu confezionato da mani esperti in soli dieci minuti. Serena aveva in viso a terra quando il nastro adesivo le strinse il collo e la testa. Una curosiotà: quando il corpo della studentessa venne deposto sotto alcuni rami e dietro un vecchio elettrodomestico per tardare il suo ritrovamento perse una scarpa che poi le fu rimessa. Lo conferma una foglia secca trovato all’interno.

Loredana Spalviero ha riproposto l’ipotesi che Serena fosse in vita alle 15.30 del 1 giugno 2001, cioe’ quando Serena – secondo la Procura – stava morendo per asfissia nella caserma. La donna gestiva con la sua famiglia la pizzeria “Lo sfizio” nel centro di Isola Liri e nel 2001 disse di aver notato la studentessa nel suo locale. Il padre della Spalviero fu più cauto arrivando ad ipotizzare che Serena fosse somigliante ad una ragazza di Monte San Giovanni Campano. La Spalvieri nel 2003 davanti un ispettore della questura di Frosinone modifico’ la sua ricostruzione ma lunedi in Corte d’assise a Cassino ha riconosciuto i fuseaux neri e la maglia rossa con i fiorellini rosa che indossava Serena Mollicone.

Il processo è agli sgoccioli ma la corte ha chiesto di tentare di ascoltare in aula la ragazza sosia di Serena di Monte San giovanni – che ha già escluso di trovarsi in quella pizzeria il 1 giugno 2001 –  ed il presunto fidanzato con i capelli ricci, un orecchino ed un viso pieno di acne. Nelle fasi iniziali aveva deposto il maresciallo Gennaro Compagnone: era un amico e collega di lavoro di Francesco Suprano, uno dei cinque imputati. Compagnone nel 2004, prima del matrimonio, era interessato inizialmente ad affittare l’alloggio occupato sino in quel momento da Suprano e ritenuto il luogo del delitto. Ha dichiarato alla Corte di aver visto rotta la porta del bagno ma non diede molto peso – ha aggiunto – al particolare. Si torna in aula mercoledì per quella che appare essere l’udienza della fase dibattimentale.

INTERVISTA Luigi Sparagna, ex Comandante provinciale dei Carabinieri di Frosinone