LATINA – Che l’anatra zoppa di Damiano Coletta abbia prodotto più malumori e tensioni che altro, non è un segreto per nessuno. Quel ribaltone al ballottaggio è costato caro al cardiologo del Goretti, che ha dovuto reinventarsi, trovare alleati in quelli che, fino a un attimo erano nemici giurati in una campagna elettorale al veleno. Ma che succede se quel malumore, quella tensione, non si ferma ai ricorsi della minoranza, che non ci sta a rimanere relegata ai banchi dell’opposizione? Che succede se a fare un’analisi, quasi anatomica, della situazione politica dell’indomabile capoluogo pontino è qualcuno della maggioranza, nientemeno che l’ex presidente del Consiglio?
Succede che il malumore, la tensione e tutto quello che si portano dietro rischiano di diventare realtà, un futuro prossimo e non anteriore, come lascerebbe pensare la possibilità che la chiamata alle urne sia quella del 2026, a cadenza naturale del Coletta bis.
Succede che, con un occhio, attento ma critico, il popolo latinense, possa legittimamente chiedersi, se anche dovesse arrivare alla fine del suo mandato, chi sarà il “delfino” di Damiano Coletta. Chi ne saprà raccogliere l’eredità, senza lasciarsi schiacciare dal peso che questa comporta e senza scontentare di quel campo largo, forse larghissimo?
E in quest’ottica che si pone la riflessione di Massimiliano Colazingari, che “Latina bene comune” l’ha vista nascere, è stato per cinque anni il presidente del Consiglio, ed è ora consigliere comunale di maggioranza, eletto con “Latina 2032”. Lui, che, sentitosi messo da parte, si definisce “confinato da quasi inutile spettatore ad un locale amministrare sciatto e dai minimi risultati concreti”, una frase che cruda e affilata, arriva dritta dove deve: al cuore dei latinensi, che non vivono la politica quotidianamente, ma ne subiscono comunque le incertezze, i dubbi, le cadute. Ed è a loro, che, dal suo profilo social annuncia di volersi avviare “a compiere, con il giusto e dovuto spirito critico oggettivo e con coerenza, scelte politiche diverse”. Una definizione quella vaga, eppure, enorme, che apre un varco al futuro e un baratro sul presente: che succede all’anatra zoppa di Coletta se comincia a perdere anche i suoi stessi pezzi, se quelle scelte diverse, diventano radicali, insostenibili per la sua stessa azione di governo?
Succede la strana danza dell’anatra zoppa, quella che tiene la maggioranza appesa a un filo, come ha dimostrato, in tutto il suo clamore, l’ultimo Consiglio comunale, che ha visto all’ordine del giorno l’approvazione dei debiti fuori bilancio. Uno consiglio-show che, da una parte, ha avuto come protagonista l’assenza strategica all’interno della maggioranza – il già citato Colanzigari – e dall’altro, l’aver portato a casa il sudatissimo risultato dell’approvazione grazie alla presenza in aula del Presidente del Consiglio, Raimondo Tiero, che ha permesso di garantire il numero legale e tenere, quindi, in piedi la seduta… La parodia dell’assurdo, se si considera che Tiero è di Fratelli d’Italia, quindi, dell’opposizione.
Una danza che, alla fine, si è tradotta nell’esplosione di fulmini e saette in Aula: in primis – dopo l’approvazione del primo punto all’ordine del giorno, ovvero l’aggiornamento del regolamento sui dati personali – Dino Iavarone di “Latina bene nel cuore” ha voluto dire la sua, contestando all’anatra zoppa di Coletta non abbia prodotto quasi nulla, in circa sei mesi dall’elezione, a partire dal bilancio, passando per le commissioni e tuonando, infine, sulla questione della perdita dei finanziamenti dell’adeguamento sismico delle scuole.
Ma lo strappo si è consumato poco dopo, quando, a prendere la parola è stata Patrizia Fanti di FdI, sottolineando come ci si aspettasse dal Primo cittadino una relazione su quanto accaduto la settimana precedente, e, invece di ottenere risposte dallo stesso Coletta, si è ritrovata con il Presidente del Consiglio – del suo stesso partito – che le ha spento il microfono, perché, già richiamata sul fatto che il tema non fosse all’ordine del giorno, non le è stata “imparata la correttezza”, continuando a cercare risposte sul tema proposto.
Uno strappo che è stato sentito fin da subito, con la minoranza che ha abbandonato l’aula, accusando Tiero di non essere super partes come il suo ruolo di garanzia richiederebbe. Con il risultato finale che i debiti fuori bilancio – uno dei debiti era di 3500 euro di spese legali, risalenti al 2012, che vide il Comune contrapposto al proprio dirigente dei Lavori pubblici, mentre l’altro di 10.737 euro e riguarda il mancato pagamento di una fattura, dell’allora giunta Zaccheo, nei confronti di una ditta fornitrice di beni – sono stati votati dalla sola maggioranza – Tiero si è astenuto nelle due votazioni, che, però, con la sua presenza, lo ripetiamo, ha garantito il numero legale-.
Uno strappo che non sarà esente anche da conseguenze a medio-lungo termine. Prima tra tutte, il potere dell’assenza di Colazingari (attualmente malato, ma già entrato nel gruppo misto) e quello che deriva dalla possibilità, per la minoranza, di abbandonare l’aula. Conseguenze che dimostrano che, forse, il dopo Coletta. Che, forse, non è poi così lontano.
Considerati che, in pochi mesi, ha già collezionato il suo terzo ricorso, da parte di quella minoranza scontenta della situazione, sempre più al collasso – l’udienza è prevista a luglio -, che su di lui aleggia prepotentemente la volontà di Claudio Fazzone, l’alleato insperato, quello last minute, che è servito a salvare il salvabile, dopo il risultato del ballottaggio. Senza contare dell’imminenza delle regionali, che saranno orfane del suo candidato vincente – Nicola Zingaretti – e che potrebbero rappresentare per Coletta quell’occasione di cogliere due piccioni con una fava: lanciarsi sempre più in alto, nella sua carriera politica (ricordiamo che Coletta fa già parte dell’Anci, associazione nazionale comuni d’Italia), e togliersi da questa situazione che, già da ora, si preannuncia insostenibile. O addirittura delle Nazionali, occasione ancor più ghiotta per il Primo cittadino della seconda città più grande del Lazio.
Ma a questo punto una domanda sorge spontanea: quale futuro si preannuncia allora per l’indomabile capoluogo pontino? E soprattutto per Latina bene comune? Il movimento civico saprà trovare una sua chiave, liberandosi dal fantasma di Coletta o, il cardiologo del Goretti, seppure lontano sarà sempre presente, sempre pronto a dare l’imprimatur per un’azione rispetto a un’altra? Latina sarà la versione ingigantita di Gaeta, costretta a trovare una quadra per il dopo Mitrano, o saprà rinascere dalle ceneri di quest’anatra zoppa, liberandosi dalla palude in cui rischia di affondare? Saprà darsi una struttura capace di reggere agli urti della politica stessa?
E Colazingari, con la sua analisi critica, con il suo occhio anatomico, potrebbe essere l’uomo su cui puntare? O, magari, sulla scia di una rivoluzione al femminile, di uno scranno tinto di rosa, dell’improbabile che diviene possibile, quel nome potrebbe essere quello della consigliera comunale e provinciale Valeria Campagna?