Formia in lutto per la scomparsa dell’atleta Donato Sabia

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FORMIA – Aveva deciso di mettere la sua vita dentro un sogno. E ce la fece come il più grande di tutti, Pietro Mennea, che, come lui, era un ragazzo del sud e aveva deciso di venire a Formia per diventare un campione su una pista di atletica e, appese le scarpette chiodate, anche fuori. La scelta di Formia inizialmente fu però forzata. Il terremoto del 23 novembre 1980 gli distrusse l’abitazione di famiglia ed il comitato regionale della Fidal della Basilicata per stimolarlo gli disse: “Ora vai ad allenarti nella casa dei campioni”.

Un’eco di commozione e di dolore è arrivata anche a Formia dopo la diffusione della notizia del decesso, avvenuta all’ospedale San Carlo di Potenza, di uno dei bravi ottocentisti di cui l’atletica italiana abbia potuto avere, Donato Sabia. Due volte finalista sul doppio giro di pista alle Olimpiadi di Los Angeles nel 1984 e quattro anni più tardi a Seul – un record che difficilmente gli sarà strappato a breve-medio termine – Sabia è deceduto a causa del Covid 19 e non aveva ancora 57 anni. Li avrebbe compiuto il prossimo 11 settembre. Sabia è morto per la stessa patologia del papà che aveva assistito amorevolmente presso l’ospedale della città che aveva abbandonato, adolescente, per arrivare a Formia 40 anni fa in concomitanza dei primi successi ottenuti in quella manifestazione che la politica ha cancellato in maniera discutibile, i Giochi della Gioventù. Sabia aveva forse un futuro da centrocampista nelle giovanili della squadra di calcio della sua Potenza ma aveva intenzione di percorrere le stesse gesta di un altro ragazzo del mezzogiorno che dieci anni prima aveva abbandonato la sua Barletta per diventare a Formia l’uomo più veloce del pianeta, Pietro Mennea. Donato e Pietro in un’epoca poco social avevano deciso di “chiudersi” nell’eremo della scuola nazionale di atletica leggera “Bruno Zauli” pur di arrivare…anche a costo di correre e sudare la mattina di Natale e di Capodanno.

L’atleta tesserato per le Fiamme Oro era caratterialmente molto diverso dalla “freccia del sud” dal quale, imparando molte cose, sia come atleta che come uomo, era legato da una profonda e vera amicizia. Non è un caso che Donato Sabia fu uno dei pochi a sapere che Mennea era malato di cancro e ad avere il privilegio di portare a spalle il feretro dell’ex primatista mondiale dei 200 il giorno dei funerali sette anni fa presso la chiesa dell’Aventino a Roma. Sapia, sposato e padre di due figlie, era legato poi allo staff tecnico di Mennea anche per un altro motivo: era seguito dai due tecnici del campione olimpico di Mosca, Carlo Vittori e soprattutto Sandro Donati, il promotore di tante “crociate”, anche a livello culturale, contro il ricorso al doping nello sport e nell’atletica leggere. Sabia era nato quattrocentista però. Era il secondo componente della staffetta 4×400 (dopo di Malinverni e prima di Zuliani e Ribaud) quinta con il tempo di 3’05”70 quinta ai primi mondiali del 1983 che si disputarono a Helsinki, è stato primatista mondiale per ben 29 anni sulla distanza dei 500 metri (con il tempo di 1’00”08) ma le sue più grandi soddisfazioni le ha colte sugli 800 metri di cui deteneva la terza prestazione all time con 1’43”88 alle spalle di Marcello Fiasconaro e Andrea Longo. Proprio a Fiasconaro si ispirava tanto nella distanza che sentiva più sua. E i successi non tardarono ad arrivare, il primo dei quali commentato in diretta Rai dal mitologico Paolo Rosi. Il giovanissimo lucano il 13 giugno 1984 nel meeting di Firenze con il suo personale battè niente meno che un campione olimpico ormai ai titoli di coda come il cubano Alberto Juantorena. Pochi giorni prima, il 9 giugno a Milano aveva corso i 400 in 45”73, tempo che resterà il suo miglior di sempre

Donato non aveva una gran simpatia per le gare indoor. Nonostante questa scarsa predilezione nel 1984 a Goteborg si laureò campione europeo degli 800 con il tempo di 1’48”05. Fu il prologo per la sua prima partecipazione olimpica ai giochi di Los Angeles. Sabia giunse quinto in 1’44”53 nella gara vinta da quel brasiliano Joaquim Cruz che aveva battuto ai mondiali studenteschi di Torino. Secondo giunse Sebastian Coe, l’attuale presidente della Federazione mondiale di atletica leggera. Ma le fatiche americane di Sabia proseguirono. Partecipò a quelle Olimpiadi anche alle batterie della 4×400. L’Italia schierava Tozzi, Nocco, Ribaud e Sabia e quest’ultimo in semifinale fu il più veloce degli azzurri e fu cronometrato in 45”05. Una magrissima consolazione perché l’atleta potentino si infortunò e in finale venne sostituito dal suo amico del cuore Pietro Mennea. L’Italia si classificò al quinto posto (3’01”44) e la freccia del sud venne cronometrata in 44”95. A Seul, nel 1988, la seconda ed ultima Olimpiade per lo sfortunato atleta della Polizia: solo un settimo posto e, nonostante avesse solo 25 anni, era l’inizio del declino per un atleta che amava la musica di Verdi, la poesia di Leopardi, i gialli di Agata Christie nonché i racconti del Boccaccio al quale i malanni al tendine d’Achille gli hanno voltato le spalle nonostante un taleno cristallino.

Il rapporto di Sapia con Formia non poteva non essere coltivato grazie anche al patron del suo meeting mondiale di atletica leggera, il Cavalier Elio Papponetti. Lo ricorda ora per la sua grande ed innata disponibilità a prendere parte alla sua manifestazione, l’infinita umanità, rigore morale tanto da dire tanti “no” a percorrere le facili scorciatoie del doping. A Potenza e, di riflesso, a Formia si è consumata, dunque, un’altra tragedia nella tragedia del coronavirus. Ci ha lasciato una gran bella persona, timida, sana dentro a cui era davvero impossibile non volergli bene. Davvero.

Saverio Forte