Santi Cosma e Damiano / Mancoop, il Consiglio di Stato boccia il ricorso del Cosind

Cronaca Santi Cosma e Damiano

SANTI COSMA E DAMIANO – E’ stata una vittoria decisamente amara quella restituita ai lavoratori della cooperativa “Mancoop” di Santi Cosma e Damiano dopo la sentenza del Consiglio di Stato che, bocciando definitivamente la linea d’azione del consorzio di sviluppo industriale del Sud pontino, ha definitivamente legittimato l’iniziativa imprenditoriale della stessa coop a poco più di otto anni dal fallimento dell’ex stabilimento Evotape in via Porto Galeo a Santi Cosma e Damiano.

Se i giudici amministrativi di secondo grado, confermando il pronunciamento del Tar di due anni fa, hanno ribadito che il consorzio industriale non poteva vantare una sorta di diritto di prelazione sul sito produttivo ex Manuli, la Mancoop è stata costretta a promuovere la procedura presso la Regione Lazio per l’ottenimento della cassa integrazione in deroga per la gran parte dei suoi dipendenti. L’ha annunciato lo storico presidente della “Mancoop” Pasquale Olivella dopo la quasi paralisi del sito che per la produzione di nastri adesivi era diventato in tutta Italia un positivo simbolo della rinascita dell’immagine industriale del comprensorio dopo la cessazione dell’attività e un doloroso fallimento nel 2012. In effetti il blocco è stato provocato dalle prescrizioni del governo contro il contagio del coronavirus ma del centro direzionale di via Porto Galeo sono rimaste aperte sino cinque delle 40 aziende che hanno seguito la Mancoop nel tentativo, riuscito, di rianimare il polo industriale più meridionale del Lazio.

Non c’è stato tempo di festeggiare la sentenza del Consiglio di Stato che i vertici della coop hanno dovuto chiedere la cassa integrazione per le loro maestranze – come ha precisato Olivella – almeno per i prossimi due mesi. Il secondo grado della magistratura amministrativa ha respinto il ricorso del Consorzio Industriale del sud pontino contro il pronunciamento della prima sezione del Tar di Latina nel febbraio 2018 che, all’epoca, aveva accolto quello dell’avvocato Leonardo Gnisci che per conto di Vincenzo Manciocchi, il curatore fallimentare dell’Evotape srl – era il nome della società fallita sulle sui ceneri ha preso vita l’attività imprenditoriale ed occupazionale della Mancoop – aveva avviato una durissima battaglia legale contro due delibere del consiglio di amministrazione del consorzio industriale del Sud Pontino, la numero 81 del 7 ottobre e la numero 126 del 23 dicembre 2016.

Il Consind, di fatto, aveva concluso una procedura di acquisizione della struttura immobiliare di via Porto Galeo esercitando quanto prevede l’articolo 63 della legge 448 del 23 dicembre 1998 sui siti produttivi dichiarati falliti. Il Tar e ora il Consiglio di Stato hanno dato ragione alla curatela fallimentare dell’ex Evotape sostenendo alcuni principi: lo stabilimento industriale è stato costruito in epoca ampiamente anteriore all’inclusione dell’area nel perimetro del consorzio industriale del sud pontino di superfici che mai sono state espropriate, cedute o assegnate dal consorzio stesso e poi alcune arre di pertinenze del sito produttivo, distinte e separate, sono state acquistate privatamente nel 1987 e non sono state mai oggetto di attività produttiva ed edificatoria. Insomma – si legge nella sentenza del Consiglio di Stato – i consorzi industriali non possono applicare l’articolo 63 della legge 448 rivendicare alcunché quando si tratta, nello specifico, di riappropriarsi di aree che non sono mai state assegnate dagli stessi enti di sviluppo industriale per la realizzazione di siti produttivi.

In effetti il consorzio industriale del Golfo aveva operato con le due delibere del CdA il “riacquisto” del complesso immobiliare appartenente alla Evotape Packaging s.r.l., in stato di fallimento, nel “presupposto che l’operazione fosse conveniente per l’ente sia dal punto di vista economico che da quello funzionale”. Il perito nominato dal Tribunale di Latina lo aveva stimato per circa 7 milioni di euro a fronte di quello, attualizzato, dei contributi pubblici erogati per la realizzazione dello stabilimento di oltre 35 milioni di euro. La curatela fallimentare dell’Evotape l’ha spuntata sia davanti il primo che il secondo grado della magistratura anche per un’altra oggettiva ragione: l’articolo 63 della legge 448 non è esercitabile poiché l’attività industriale non è mai cessata in via Porto Galeo essendo stata continuata dalla Mancoop s.r.l. (che altro non è che una società costituita tra gli ex dipendenti della Evotape Packaging) cui lo stabilimento è stato locato dalla curatela del fallimento.

E ancora la curatela fallimentare dell’ex Evotape ha contestato la pretesa del Cosind di decurtare dal valore dell’immobile dei contributi pubblici erogati, contributi “che non sono stati erogati alla Evotape Packaging ma alla Tyco Adhesives e comunque non vi è alcuna prova – si legge nella sentenza – che questi contributi siano stati effettivamente erogati a tale soggetto per la realizzazione dello stabilimento”. Il sito produttivo di San Cosma è stato costruito dal 1962 al 1975, mentre l’acquisto della Tyco Adhesives risale al 2001 e risulta successivo alla data di supposta erogazione dei contributi che, secondo quanto attestato dal ministero dello sviluppo economico, risale al 1999. Già Tar entrò nel merito nel “gioco” del valore delle perizie per la stima delle aree dello stabilimentodi San Cosma e Damianoi: il consorzio industriale illegittimamente avrebbe utilizzato la perizia redatta nell’ambito del procedimento (anziché quella redatta dal perito nominato dal Presidente del Tribunale) che aveva infatti proposto una stima del valore delle aree superiore di circa euro 70.000 euro rispetto a quella del perito nominato dal Presidente del Tribunale.

Intanto il consorzio per lo sviluppo industriale del sud pontino, incassando la seconda sconfitta davanti la magistratura per questa vicenda specifica è stato condannato dai giudici di Palazzo Spada al pagamento delle spese di giudizio a favore della Curatela dell’ex Evotape per 3000 euro.

Intanto, scoppiata l’emergenza Covid 19, è la provincia di Latina quella che tra le cinque del Lazio ad avere inoltrato più richieste per beneficiare della cassa integrazione. Il dato, assai preoccupante, lo ha reso noto Claudio Di Berardino, l’assessore al Lavoro e alla Formazione della Regione. Ad una settimana esatta dall’avvio della cassa integrazione in deroga, nel Lazio alle ore 16.30 del 1 aprile sono state 14.050 le domande di cassa integrazione pervenute agli uffici dell’assessorato per un totale di 32.236 lavoratori coinvolti. Inoltre sono 7.755.613 le ore di lavoro su cui è richiesto l’ammortizzatore sociale e che impegna la Regione Lazio per 62,8 milioni di euro. Si tratta di un bilancio certamente parziale ma indicativo sulla situazione della Regione La quasi totalità delle aziende che ha presentato la domanda è di piccole dimensioni, tanto che il 95% di esse ha meno di 6 dipendenti. Il 77% delle imprese appartiene all’area metropolitana di Roma, mentre, tra le altre province del Lazio, è quella di Latina, con il 9% ad aver inoltrato più richieste.

“Le richieste in arrivo dimostrano la difficoltà che sta attraversando il mondo del lavoro, al quale come Regione Lazio – ha aggiunto l’assessore Di Berardino – stiamo dando risposte con una pluralità di interventi e con bandi specifici per rispondere in modo incisivo e su misura alle varie esigenze. Per quanto riguarda la cassa integrazione l’obiettivo è sostenere i lavoratori dando risposte veloci alle imprese; per questo la nostra task force continua a lavorare su due turni di lavoro e assicurando un servizio continuo anche durante il sabato e la domenica”.

Saverio Forte