Gaeta / Dagli impianti di acquacoltura alla legalità, l’ex-sindaco Raimondi e la città “irriconoscibile”

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GAETA – Sono circa 5200 i chilometri che separano la sua città attuale – Nairobi (capitale del Kenya) – e la sua città natale, Gaeta (Lt), della quale è stato anche Sindaco, ma è una distanza che non produce limiti per Antonio Raimondi che continua ad osservare, analizzare e commentare la città bagnata dal mare che non di rado gli appare “irriconoscibile” poiché “snaturata”.

In che senso? L’ex-sindaco Raimondi è dell’idea che la città dovesse progredire, ma non trasformarsi radicalmente perdendo quell’ “immobilità” intesa come saldo legame con la tradizione che l’ha sempre caratterizzata, in particolare nel rapporto col mare.

Egli stesso – gli piace ricordare – è stato uno dei primi a puntare sulla “destagionalizzazione turistica” , divenuto poi un cavallo di battaglia delle amministrazioni a guida Cosmo Mitrano, ma la sua soluzione si poteva riassumere nell’idea di potenziare il “mare d’inverno” con tutto il dinamismo economico in grado di suscitare la capacità attrattiva di vivere, magari risiedere, in città tutto l’anno e non solo l’estate. Una direzione che come indotto economico – a suo avviso – sarebbe stata più solida e consistente di quello prodotta dalla destagionalizzazione con i grandi eventi degli ultimi dieci anni.

Dunque, Antonio Raimondi, pensa al mare e si affaccia inevitabilmente nella bagarre legata alla delocalizzazione degli impianti di acquacoltura presenti nel Golfo di Gaeta; lo fa sulla scia dell’interessamento emerso da più parti del mondo politico comprensoriale alla luce della delibera votata dal Consiglio comunale di Gaeta. Il documento approvato dalla maggioranza del sindaco Cristian Leccese e i voti favorevoli dei consiglieri Emiliano Scinicariello e Sabina Mitrano – con il solo voto contrario del consigliere d’opposizione, nonché altrettanto ex-sindaco della città, Silvio D’Amante – dà il via ad un iter d’individuazione delle aree dove possono e non possono essere collocati gli impianti.

Una decisione che Raimondi definisce una “burla” che mai avrebbero dovuto votare i due Consiglieri d’opposizione “per principio d’opposizione stessa” e in quanto “documento non condiviso” e che – secondo lui – non ha motivo di esistere perchè la tutela dei posti di lavoro legati all’acquacoltura aveva bisogno di un’altra parola d’ordine: “concertazione”.

Ad ogni modo l’ex-sindaco di Gaeta, pur non essendo – per sua stessa ammissione – un lupo di mare, è convinto che gli “impianti offshore non sia possibile tenerli” per via delle “correnti” che caratterizzano lo specchio d’acqua fuori Punta Stendardo che potrebbero renderne difficile l’installazione o il raggiungimento e, quindi, a meno che non esistano soluzioni di cui non è a conoscenza, dal momento che è istituita l’ “Area sensibile del Golfo”, gli impianti o restano dove sono o dovranno andar via. Così come – sempre in seno all’istituzione dell’ “Area sensibile del Golfo” – dovrebbe valere, a suo avviso, anche per le attività di trasbordo petrolifero.

Gaeta, Formia e Minturno dovrebbero – dunque, secondo lui – cominciare a ragionare in quest’ottica, ovviamente in maniera comprensoriale, come egli stesso vanta di aver intrapreso negli anni del suo governo cittadino promuovendo tavoli di collobarazione tra gli assessorati di Formia e Gaeta competenti per Ambiente – Sanità – Mobilità e Turismo.

Dopodichè c’è un altro argomento sul quale Antonio Raimondi vuol dire la sua ed è la “legalità”. Le ultime notizie di cronaca che riportano sequestri afferenti gli interessi della criminalità organizzata in città, la memoria torna indietro al primo periodo del suo mandato da sindaco nel 2007. In occasione di una conferenza stampa – racconta – non ebbe remore a rispondere affermativamente rispetto alla domanda sull’eventuale presenza della criminalità organizzata in città.

“L’opposizione gridò allo scandalo” – ricorda – “fui accusato di aver infangato il nome della città”, in vero il ragionamento che in veste di Primo cittadino aveva fatto all’epoca era legato alla capacità attrattiva della criminalità, in quanto “città ricca”, e poi – molto più semplicemente – alla consapevolezza che nessun luogo geografico possa esserne realmente immune. Oggi, come allora, – seppur a distanza di molti anni – Antonio Raimondi, parlando alla politica, così come alla società civile, ha da ribadire ancora una volta un concetto: “per arginare il fenomeno bisogna tenere sempre alte le barricate”.