Cassino / Delitto Serena Mollicone, interrogatorio del Tenente Colonnello Fabio Imbratta

Cassino Cronaca

CASSINO  – Serena Mollicone la mattina del 1 giugno 2001 entrò nella caserma dei Carabinieri di Arce. Non è un’ipotesi ma una certezza. Non sono state tradite le aspettative sul lungo interrogatorio, durato sei ore, reso dal tenente Colonnello dei Carabinieri Fabio Imbratta nella nuova udienza del processo di Serena Mollicone celebrata davanti la Corte d’assise del Tribunale di Cassino. Era molto attesa la deposizione dell’ufficiale dell’Arma perché, quand’era comandante della Compagnia di Pontecorvo dal gennaio 2013 al novembre 2017 , svolse le nuove indagini che permisero alla Procura di Cassino di chiedere ed ottenere il processo per i cinque imputati: Franco, Marco e Annamaria Motolla, Vincenzo Quatrale e Francesco Suprano.

“La comunità di Arce chiedeva ai carabinieri una risposta, questa cosa l’ho sentito sulla mia pelle – ha esordito Imbratta – Fu l’appuntato Venticinque, nel corso di un servizio di ordine pubblico alla Saf di Colfelice a parlarmi del caso. Iniziai così il mio lento avvicinamento al caso” ha detto Imbratta.

In base ai fascicoli fotografici, alla lesione  riscontrata sul capo di Serena, all’altezza del sopracciglio portano, secondo l’investigatore, ad individuare la porta come arma, indiretta, dell’omicidio. In aula, rispondendo alle domande del sostituti procuratore Beatrice Siravo e Carmen Fusco e della Corte d’assise, il Colonnello Imbratta ha rinnovato in aula il contenuto delle 450 pagine dell’informativa con cui ha fatto riaprire le indagini sul delitto di Arce, dalla scomparsa e omicidio di Serena al suicidio nell’aprile 2008 di Santino Tuzi.

Imbratta ha parlato di un ‘”anomalo protocollo investigativo” promosso dai Carabinieri di Arce dal giorno della scomparsa di Serena: ordini di servizio falsificati sui militari quel giorno in caserma e sulle attività svolte e poi sulla scomparsa di alcuni reperti appartenenti a Serena – utero e sopracciglie – che non sarebbero stati conservati – come sarebbe dovuto avvenire – subito dopo lo svolgimento dell’autopsia. Il Tenente colonnello, poi, ha definito la porta contro la quale sarebbe sbattuta Serena l’arma del delitto. L’ha considerato come lo strumento lesivo contenente sufficienti potenzialità offensive.

Per l’ex comandante dei Carabinieri di Pontecorvo il luogo del ritrovamento del cadavere di Serena non è lo stesso in cui è avvenuto il delitto. Mentre Serena lottava contro la morte – ha aggiunto Imbratta – i suoi assassini (l’ufficiale ha utilizzato il plurale ) pianificavano l’occultamento del cadavere, avvenuto probabilmente non nella stessa giornata del 1 giugno 2001. Gli arti superiori e inferiori di Serena erano stati bloccati con del nastro adesivo per poter permettere al cadavere di essere spostato “da due o tre persone”. Il sacchetto sul capo di Serena – ha aggiunto il Tenente colonnello – è stato inserito per evitare fughe o eventuali forme di inquinamento, organico ed ematico, durante le fasi, delicatissime, del trasferimento del cadavere nel boschetto di Fontecupa, nel territorio di Fontana Liri.

Imbratta ha aggiunto qualcosa di interessante: gli arti sono stati ancorati a terra ad alcuni particolari tondini di ferro, abitualmente utilizzati dalle imprese che confezionano fuochi pirotecnici. Perché questa necessità? Questi tondini sono stati mai rinvenuti nelle abitazioni degli indagati e dei Mottola in particolare? Per Imbratta la risposta è stata negativa.

Nel controesame incalzanti sono stati i legali dei principali imputati, Franco, Marco e Annamaria Mottola. Gli avvocati Francesco Germani, Mauro Marsella e Piergiorgio Di Giuseppe hanno chiesto all’ufficiale chi e cosa avesserro suffragato le sue competenze criminalistiche che per la difesa sono soltanto “mere ipotesi”.

Il colonnello ha più volte sottolineato che alla base della sua informativa ci siano state le dichiarazioni di Santino Tuzi, quelle di aver visto Serena entrare nella caserma dei Carabinieri di Arce. Ma perché Santino Tuzi si è suicidato l’11 aprile 2008. La risposta del tenente colonnello: “Si sentiva ormai solo e abbandonato dai suoi colleghi di lavoro e forse perché temeva, dopo il caso di Carmine Belli, di essere coinvolto direttamente e arrestato per l’omicidio di Serena” – è stata la sua risposta,

Poi il buco nella porta trovata smontata nell’alloggio, sfitto nel 2001, abitualmente utilizzato dalla famiglia Mottola all’interno della caserma di Arce. Il centro del foro è stato trovato ad un metro e 54 centimetri, Serena era alta un metro e 55 centimetri mentre la frattura nella zona temporale destra di Serena è stata riscontrata ad un’altezza di un metro e 46 centimetri, quindi 9 centimetri più in basso rispetto al foro. Per la difesa dei Mottola le conclusioni sui è giunto Imbratta sono state carenti nel momento in cui non sono state trovate impronte e tantomeno tracce genetiche sul nastro adesivo da imballaggio con cui è stata immobilizzata Serena dopo la morte.

Su richiesta del presidente della Corte d’Assise del Tribunale di Cassino Massimo Capurso, Imbratta ha escluso invece che sia stata compiuta una perizia calligrafica sul messaggio con cui Santino Tuzi scriveva “Addio” all’amante Annarita Torriero prima che si togliesse la vita l’11 aprile di 13 anni fa.

L’udienza si è arricchita poi con la deposizione del tossicologo Mario Iacobini. Serena – ed è emerso dall’autopsia – prima del decesso non aveva assunto alcool e sostanze stupefacenti . Almeno sino a venti giorni prima. Un falegname di Pontecorco Marcello Quagliozzi ha stabilito, dopo la sua perizia, che appartenesse ad un bagno la porta, larga 70 e lunga 210 centimetri ed in legno tamburrato, contro la quale è stata sbattuta Serena Mollicone. Per il consulente della Procura per romperla sarebbe stato necessario un pugno. A sentenziarlo sarà esclusivamente la Corte d’assise del Tribunale di Cassino. Il processo con l’audizione di altri testi della Procura proseguirà giovedì 26 novembre.