25 Aprile, Festa della Liberazione: «Di quale parte sarò artigiano?»

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LATINA – «Di quale parte sarò artigiano?» Cominciando a costruire se stessi e contribuendo alla produzione o riparazione della realtà collettiva, questa domanda arriva per tutti. E’ accertata la “contro-passione” di chi non risponde allo stesso appello – l’antipatia, proverbialmente, dice qualcosa dell’antipatico ma ancor di più di chi la prova – e seppure i toni arrivano alla violenza – nel mondo animale, quello dal quale proveniamo e rispetto al quale ci evolviamo, il modo migliore di esorcizzare la paura è provare a far paura. Provare.

Si tratta solo di una certa natura che esiste: che va colta, letta, studiata, riconosciuta e rispetto alla quale un’altra vita è possibile. E’ partigianeria. Anche questa.

Se è vero, dunque, che il pericolo concreto è che l’inettitudine dettata da una sorta di alienazione sociale e politica ci consegni un presente senza questa domanda – «Di quale parte sarò artigiano?» – l’altra grande “sciarada” è nella risposta. In enigmistica, la “sciarada” è un gioco che consente di cimentarsi con l’unione di due o più parole per formarne un’altra, ma la gente tende a chiudere il cerchio sulla soglia di casa propria, con una responsabilità personale, ma una colpa ampiamente condivisa da chi negli anni – con un agire politico paradossalmente de-responsabilizzante e demoralizzante– ha lavorato per un campo che fosse quanto più sgombro tanto più depauperabile.

Quante volte è capitato di sentir dire che parlare di “partigiani” fosse addirittura anacronistico?

Col solo supporto della logica – anch’essa avvilita da una capacità di ragionamento avviluppata in caldi e comodi sofà in “domo mea” – non si potrà contrariare che solo una forte miopia impedirebbe di leggere anche in una tale affermazione una presa di posizioni. E’ partigianeria. Anche questa.

In quanto uomini, coscienti di sé, dotati di diritti inalienabili e protagonisti – discussi e discutibili – della vita produttiva e del progresso sociale e culturale della realtà, essere “partigiani” dovrebbe essere inevitabile e a consentirlo sono la libertà e con essa quelle conquiste storiche e politiche che rappresentano una “conditio sine qua non” per qualsiasi passo in avanti.

Ed è chiaro che la prima partigianeria è quella che ci lega proprio alla “libertà” di conoscere, immaginare, essere, partecipare, cambiare e, dunque, sperare. L’unica in grado di concederci all’ambizione della felicità, che ad altro non può aderire che alla piena realizzazione della propria persona, per natura, religione, tradizione, politica e tutte quelle componenti essenziali della propria serenità che fai il paio con la propria anima, ovvero il proprio spirito.

E’ lo scontro tra gli spiriti – che traggono origine dal “vento” in grado di erodere e cambiare – genera tempesta. Ma guai se tale tempesta non fosse possibile e non rimandasse al sereno.

In tempo di “pandemia”, si tende a sentirsi inezie di incertezze. Penso, invece, che proprio questo tempo di “pandemia”, ci abbia reso indistintamente “partigiani” – più o meno consapevoli – per la responsabilità verso noi stessi e gli altri che ci ha inchiodato al nostro futuro. Le incertezze sensoriali hanno lasciato il passo alla certezza della coerenza – quella lama a doppio filo sulla quale corre il rapporto con i nostri principi e le contingenze della realtà. Oggi, più che mai avremmo potuto tutti concederci all’ascolto di quel “vento”.

Siamo nati partigiani. Siamo naturalmente partigiani. Eppure sembra un po’ meno scontato essere naturalmente nati liberi, perchè la minaccia dell’irrigidimento, dell’ordine cementificato è connatura e forgiata da “certe parti”. Oggi, 25 aprile, però, si festeggia storicamente la “Liberazione” da quelle “certe parti” – quelle “anti-passioni” che provano a far paura – e si consacra la “libertà riconquistata” di rispondere a questa domanda – «Di quale parte sarò artigiano?» – che nessuno più deve poter anche lontanamente pensare di sottrarci.

«Di quale parte sarò artigiano?»

E’ una risposta che ammette una fede praticata, ma non tifoserie; una responsabile risposta quotidiana, tanto più luminosa, quanto più diffusa, che ci renderà “simpatici” ed “antipatici”, ma si presuppone noi stessi, perchè c’è un dovere, prima ancora che un diritto, su tutti, ed è quello di nutrire l’amore per uomini e donne libere.

Nutro tanti pensieri sulla libertà. Grazie alla libertà. Buon 25 aprile!