Rifiuti, richiamati i Comuni di Lenola, Monte San Biagio, Ponza e Sperlonga al rispetto del principio di prossimità

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CASTELFORTE – Nonostante il freno normativo della pandemia molte amministrazioni comunali stanno cercando di ottemperare – alcune l’hanno già fatto – all’obbligo di legge di approvare i bilanci di previsione 2021 ma l’interrogativo continua ad essere di strettissima e drammatica attualità: sono utilizzate al meglio le risorse di questi locali (e dunque dei cittadini) per la gestione del ciclo dei rifiuti? Non si potrebbero ottenere, invece, vantaggi economici enormi per i bilanci dei comuni se venissero rispettati i dettami di precise disposizioni normative emanate dallo stesso Parlamento? Questi intricanti quesiti sono diventati materia di “riflessione” per la Procura regionale della Corte dei Conti e dell’Autorità nazionale anticorruzione e a rinnovarli di tanto in tanto è un apprezzato soggetto imprenditoriale che avrebbe meritato sinora ben altro tipo di risposte da parte delle autorità che gestiscono la delicatissima gestione dei rifiuti.

Il Csa, il centro servizi ambientali di Castelforte, titolare di un avveniristico, moderno e ecologico impianto di trattamento meccanico dei rifiuti ubicato in via Viaro, ai piedi della frazione di Suio a Castelforte, ha richiamato all’ordine una serie di comuni del comprensorio meridionale della provincia pontina in relazione alla non corretta applicazione della normativa sulla gestione dei rifiuti che deve essere effettuata “conformemente ai principi di precauzione, prevenzione, sostenibilità, proporzionalità, responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti nella produzione, distribuzione, utilizzo e consumi di beni da cui originano i rifiuto…nonché del principio ‘chi inquina paga’ e dei criteri di efficacia, efficienza, economicità, trasparenza, fattibilità tecnica ed economica”. Il Csa ha sollecitato i sindaci dei comuni di Monte San Biagio, Lenola, Ponza e Sperlonga ad inviare presso il suo impianto di via Viaro la frazione secca della raccolta differenziata (il cui codice è l’ormai famoso “Eer 200301”) per una semplice, ovvia e, soprattutto, economica ragione: far rispettare il principio di prossimità. Non è un capriccio monopolistico della realtà imprenditoriale di Castelforte ma si tratta di un preciso ed inderogabile obiettivo che si è posto il legislatore. L’articolo 182 bis del Codice dell’ambiente prevede, infatti, che la gestione dei rifiuti deve avvenire – come detto – in conformità al principio di prossimità per ridurre i movimenti dei rifiuti e per prevedere che “lo smaltimento avvenga nell’impianto idoneo più vicino al luogo di produzione o raccolta”.

Si tratta di disposizioni chiare e snelle, avallate dalla stessa Regione che nel proprio piano di gestione dei rifiuti – approvato dal consiglio della Pisana con la delibera numero 14 del 2012 – prescriveva un imperativo: lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani deve avvenire nel rispetto del principio di prossimità e che non sono ammissibili alla normativa di settore”. Il Csa lo mette per iscritto nella lettera inviata ai sindaci Federico Carnevale, Fernando Magnafico, Francesco Ferraiuolo e Armando Cusani: “Il principio di prossimità costituisce lo strumento obbligatorio ed inderogabile per limitare l’impatto ambientale derivante dal trasporto dei rifiuti (riducendo la movimentazione al minimo indispensabile) e per realizzare una gestione economica ed efficiente, coerente con l’obiettivo di contenere la spesa pubblica degli enti pubblici” E invece cosa succede. I comuni interpellati dal Csa preferiscono violare la normativa vigente inviando la frazione secca della raccolta differenziata. Sperlonga dista da Castelforte 43 chilometri e preferisce trasferire i propri rifiuti ancor più lontano, presso la Rida di Aprilia, che dista da Sperlonga…77 chilometri quasi il doppio rispetto alla distanza tra il borgo saraceno e via Viaro a Suio.

Non è la prima volta che il Csa denuncia questa manifesta discriminazione e, non è un caso che ha richiesto l’intervento dell’Anac, l’Autorità nazionale anti corruzione, ad intervenire subito e di farlo per “esercitare i propri poteri di vigilanza e di ispezione sulle modalità di affidamento del servizio di smaltimento dei Rsu”. E invece cosa succede? La Rida continua ad inoltre l’amministrazione provinciale di Latina, i 33 comuni pontini e l’Arpa Lazio di una pioggia di diffide in cui offre un opportunistica e soggettiva interpretazione del piano regionale dei rifiuti, secondo il quale i flussi della frazione secca della raccolta differenziata devono essere inviati “esclusivamente” al trattamento presso i (suoi) impianti di trattamento meccanico biologico, quelli dotati di sezione di stabilizzazione biologica. E la Rida menziona quanto prevede alla pagina 314 del piano regionale dei rifiuti secondo il quale, alla luce di una sentenza della Corte di Giustizia europea del 2013, la frazione secca non deve essere trasmessa presso gli impianti Tm (trattamento meccanico) – come quello di Castelforte – perché sprovvisto di una sezione di biostabilizzazione.

Sarà vero? A non pensarla completamente come l’impianto di Aprilia è la responsabile del settore Politiche ambientali della Regione che ha rispondendo alla Rida ambiente, alla Provincia e ai comuni di Latina scrive testualmente che “La presenza di più impianti dell’Ato (quello del territorio pontino) risponde alla necessità di implementare la rete per la gestione dei rifiuti nel territorio laziale”. Da tempo la Corte dei Conti (e il Csa di Castelforte) sta tentando di fronteggiare queste forme monopolistiche della gestione dei rifiuti nel momento in cui dovrebbe essere tutelata la gestione del danaro pubblico per il pagamento del servizio di smaltimento dei rifiuti che in molti comuni della provincia di Latina, purtroppo, continua ad essere esercitato (tra l’indifferenza di chi dovrebbe intervenire) in deroga al principio di… prossimità”.