Ventotene / La stazione marittima fantasma e il “Sistema” dei lavori pubblici

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VENTOTENE – È l’intero sistema appalti dei lavori pubblici dell’isola di Ventotene ad assere messo in discussione dall’inchiesta condotta dalla guardia di finanza. Tra i vari episodi contestati dal Gip Salvatore Scalera nell’ordinanza di misure cautelari che vede coinvolte 13 indagati (politici, tecnici ed imprenditori), c’è la truffa per la realizzazione della stazione marittima. Lavori sospesi e mai attuati per 194.915 euro. Ma la Regione quei contributi li ha versati regolarmente, indotta in errore da una serie di incartamenti attestanti il falso ed il comune di Ventotene li ha incassati tra il 2013 ed il 2016 tramite cinque diversi ordinativi.

Il presunto ideatore del reato è individuato nel sindaco Giuseppe Assenso, mentre Pasquale Romano compare nella qualità di responsabile dell’area tecnica e responsabile unico del procedimento nonché autore materiale di tutti gli atti di gara. Alla direzione del cantiere era stata nominata Catia Bianchi, mentre a svolgerli materialmente doveva essere la ditta individuale intestata a Giuseppe Cimino.

Secondo quanto ipotizzato dai magistrati nell’ambito dei lavori di “completamento di una stazione marittima con annessi servizi” furono usati artifici e raggiri consistiti nell’omettere di comunicare alla Regione Lazio che alla data di affidamento alla ditta individuale Cimino Giuseppe (3 giugno 2011) e sino al giorno di consegna dei lavori (14 ottobre 2011) l’area destinata alla realizzazione dell’opera di “completamento di una stazione marittima con servizi annessi”, era sottoposta a servizio penale e che i lavori erano stati immediatamente sospesi.

Nel 2013 venivano trasmesse altri due documenti, uno a firma del direttore dei lavori che attestava il superamento del 50% dei lavori e l’altro che i lavori erano in corso. Ma nel frattempo il direttore dei lavori aveva cambiato idea e rettificato la sua dichiarazione. Tuttavia della consegna del documento in regione nel fascicolo in possesso della procura non c’è traccia.

L’area era stata del manufatto di circa 320 metri quadrati, era stata sequestrata nel 2011 dalla capitaneria di porto di Gaeta. Nel sequestro era inserita anche una superficie esterna di 600 metri quadrati dove avrebbero dovuto essere posizionate attrezzature e mezzi da utilizzare per compiere le opere.

È un teorema complesso quello messo in piedi dai magistrati per contestare la condotta truffaldina. Se gli il raggiro viene documentato, con la presentazione alla regione di carte “superate”, l’arricchimento personale del funzionario e del politico, inteso in senso stretto non c’è perché chi si è avvantaggiato in prima battuta non è la singola persona ma l’ente comunale. Ma che fine hanno fatto quei soldi allora? I magistrati ritengono che siano stati utilizzati per altri appalti, alimentando in questa maniera un sistema clientelare che, avvantaggiando alcune ditte dell’isola, si sarebbe poi trasformato in un secondo momento in un bacino elettorale per i politici.

Ma anche altri lavori pubblici sarebbero stati oggetto di comportamenti poco chiari. È il caso dell’intervento di risistemazione e messa in sicurezza della banchina portuale e di realizzazione del punto di primo soccorso. Dove la gara fu annullata ed i lavori affidati ad una ditta privata, sempre la stessa, ed al contempo si chiedevano alla regione tranche di contributi per 500.000 euro per lavori mai eseguiti. Anche in questo caso c’era stato un sequestro penale di cui la regione non era stata informata. Un comportamento simile è stato riscontrato anche per l’impianto antincendio, con un importo di circa 250.000 euro.

Per il gip le “condotte manipolatorie” nei procedimenti di appalto e quelle truffaldine dirette ad ottenere contributi e finanziamenti dalla Regione Lazio appaiono seriali e, spesso, sovrapponibili.