Formia / Sangue infetto, maxi risarcimento dopo 47 anni

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FORMIA – Ha 89 anni, è di Gaeta e lotta contro un tumore al fegato. Nonostante ciò , ha voluto sostenere anche dopo 47 anni (il primo caso) una lunga difficile battaglia legale contro il Ministero della salute e i fatti le hanno dato ragione. La Corte d’appello di Roma ha fissato in 500mila euro un maxi risarcimento per un’anziana donna di Gaeta che all’età di soli 42 anni, nel 1970 prima e otto anni più tardi si sottopose a due trasfusioni di sangue all’ospedale “Dono Svizzero” di Formia in occasione di altrettanti ricoveri per alcuni problemi endoscopici. Il legale della donna, l’avvocato Renato Martelli, ha dimostrato, anche grazie ad una mirata consulenza medico legale, che il sangue trasfuso alla paziente di Gaeta, una casalinga come tante e mamma di due bambini, era affetto da epatite C, il virus HCV.

Quelle due sacche di cambiarono la vita alla donna che si accorse di essere stata infetta nel 2008 a seguito dei normali controlli del sangue con transaminasi elevate. Prese il via una durissima battaglia legale che visse il suo primo round nel 2009 quando il Tribunale di Roma – competente per territorio – emise una sentenza di prescrizione perché a suo dire – il procedimento doveva essere promossa entro cinque dalle trasfusioni “incriminate” del 1970 e del 1978. “Al massimo – affermava la sentenza impugnata e ribaltata in appello – la donna di Gaeta avrebbe dovuto iniziare la causa entro il 1992 quando venne promulgata la legge n. 210/1992 (tuttora vigente) che riconosce un “Indennizzo in favore dei danneggiati irreversibilmente da vaccinazioni obbligatorie e trasfusioni di sangue ed emoderivati”.

In effetti l’anziana nel 2009, sempre grazie all’avvocato Mattarelli, aveva ottenuto un piccolo indennizzo secondo i dettemi della legge n. 210/1992 (un assegno mensile di circa 800 euro a vita) ma secondo il Tribunale di Roma “non poteva non essere riconosciuto il danno già dal 1992” . La sentenza n. 3818 della Corte di Appello di Roma è chiara quando sottolinea il contenuto della perizia medico legale della parte offesa in cui “è risultato che le emotrasfusioni cui la paziente fu sottoposta nel 1970 al 1978 siano state in termini di elevata, ma non di certezza assoluta, la causa di contagio del virus HCV, anche tenendo conto del fatto…che è pur vero che l’infezione da HCV poteva trarre origine da interventi minori quali pratiche endoscopiche, attività odontroiatriche, manualità ostetriche, ecc., ma l’indagine anamnestica non ha fatto emergere i precedenti riconducibili ad operatività di siffatto genere così come negativa, per quanto è stato possibile desumere dalla lettura delle cartelle cliniche della storia delle soggetto, la sussistenza di tossicodipendenza.

Pertanto, in considerazione di quanto accertato dal c.t.u. (medico-legale) in assenza di fattori alternativi… ritiene la Corte (d’Appello) che sussista un quadro di indizi, univoci, precisi e concordanti idoneo ad integrare la prova del nesso di causalità…” . L’avvocato Mattarelli ha sostenuto che, nel caso dell’88enne di Gaeta in particolare, la sua età avanzata e la sua oggettiva difficoltà di ricostruire decenni di vita, nonché tutti gli ingressi ambulatoriali, analisi e ricoveri (soprattutto ricordare che aveva avuto trasfusioni quasi 50 anni prima) non poteva certamente imputarsi all’anziana donna a cui, mai l’Asl di Latina ha inviato l’invito a sottoporsi ai test epatici. Una gravissima omissione e dimenticanza – secondo i giudici di secondo grado – La donna avrebbe potuto curarsi tempestivamente e invece si è ammalata prima di cirrosi epatica e poi di tumore al fegato.

Saverio Forte