LATINA – La Commissione parlamentare antimafia ha pubblicato la relazione sulla scorsa legislatura, dedicando un paragrafo all’area di Latina e al sud pontino. Le numerose notizie riguardanti gli arresti nella provincia meridionale di Latina e le segnalazioni che la Commissione ha ricevuto, hanno portato all’audizione dei magistrati della Procura di Roma e del Prefetto di Latina. Il Procuratore della Repubblica, dott. Prestipino, ha sottolineato le difficoltà nell’effettuare le indagini nell’area a causa della sua collocazione geografica lontana dalle sedi degli uffici giudiziari e della inadeguatezza dei collegamenti esistenti.
Il territorio è caratterizzato da un forte insediamento di sodalizi mafiosi autoctoni e derivati dalle mafie tradizionali come la camorra, i casalesi e la ‘ndrangheta, il cui insediamento è stato accertato da tre sentenze ormai definitive che hanno riconosciuto l’insediamento di una “affiliazione di ndrangheta” nella zona di Fondi (clan dei Tripodo), di una ‘ndrina dei Gallace di Chiaravalle nella zona di Anzio e Nettuno e di un gruppo derivazione del clan di camorra Noviello-Schiavone.
Il clan dei Tripodo ha acquisito il controllo del MOF, il Mercato ortofrutticolo di Fondi, uno dei principali in Italia, e ha esercitato il potere mafioso nel territorio e nella locale amministrazione. Per far fronte alla situazione, l’ufficio di procura ha costituito un pool specificamente dedicato al coordinamento delle indagini riguardanti il sud Pontino e ha avviato un’attività di costante coordinamento e raccordo con gli uffici giudiziari di Latina e quelli napoletani per uno scambio informativo efficace. Il Procuratore ha richiamato l’attenzione dei vertici della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza per il rafforzamento numerico e qualitativo del personale. Le indagini avviate negli ultimi anni hanno portato all’arresto di numerosi membri delle organizzazioni criminali presenti nell’area.
Il prefetto di Latina, dott.ssa Anna Maria D’Urso, ha confermato l’importanza di un’azione sinergica e coordinata tra le forze dell’ordine e la magistratura, sottolineando l’impegno del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica nel contrastare la presenza della criminalità organizzata nel territorio.
In particolare, la Commissione ha apprezzato gli sforzi della prefettura di Latina nell’attivare diverse azioni volte a contrastare l’infiltrazione mafiosa nell’economia e nella politica locale, tra cui la realizzazione di una mappatura del territorio finalizzata ad individuare i punti critici e le aree maggiormente esposte al rischio di infiltrazione mafiosa, la creazione di un’unità di crisi per l’emergenza Covid-19 dedicata anche al contrasto dell’illegalità diffusa e la predisposizione di un protocollo d’intesa tra la prefettura di Latina e l’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) per il monitoraggio della corretta applicazione delle procedure di gara e degli appalti pubblici.
Il Procuratore ha rimarcato come le indagini avviate negli ultimi anni “sono il frutto di questa qualità dell’investigazione, soprattutto sotto un profilo: la consapevolezza da parte di ognuna di queste Forze che non si raggiungono risultati significativi, importanti, stabili e con durata se non si collabora reciprocamente, se non c’è scambio di informazioni, se non ci si coordina tra Forze di polizia e con l’autorità giudiziaria competente per i reati per i quali si attiva l’investigazione […] La maggiore qualità, l’impiego di organi centrali e il ricambio molto marcato negli apparati dirigenti hanno consentito di creare e di fare operare delle strutture meno permeabili ai condizionamenti del territorio. Infatti, in queste nostre indagini abbiamo anche accertato una serie di condotte non proprio edificanti da parte di appartenenti alle Forze dell’ordine, che sono stati ovviamente individuati e oggetto di accertamenti nelle sedi di competenza, che non è per forza la sede penale, ma può essere anche la sede amministrativa e disciplinare. Ciò ha, comunque, consentito di effettuare un ricambio e anche di impiegare – lo ripeto – dal punto di vista della preparazione e della qualità il personale più all’altezza, adeguato e consapevole dei compiti che questo territorio ci impone”.
Grazie a questa rinnovata struttura organizzativa è stato possibile avviare una serie di attività d’indagine nell’area del Sud Pontino, riguardanti sia organizzazioni costituenti derivazione di mafie tradizionali (in particolare, camorra e ndrangheta), sia organizzazioni criminali autoctone, che è stato possibile ricostruire compiutamente anche attraverso un complesso lavoro di analisi e raccordo delle risultanze investigative e processuali raccolte dai vari uffici giudiziari che, fino a quel momento, non avevano mai costituito oggetto di una lettura unitaria. E’ stato possibile, quindi, accertare la presenza a Latina di una famiglia di ‘ndrangheta molto importante, quella dei Crupi, che aveva posto la città al centro di un traffico internazionale di cocaina dall’Olanda alla Calabria (e in particolare, alla provincia di Reggio Calabria).
Come acclarata anche l’operatività in termini di condizionamento e di acquisizione di attività economiche, di alcuni gruppi imprenditoriali con collegamenti mafiosi in Calabria (un primo gruppo operava nel comune di Fondi; un altro nelle zone di Latina e Aprilia), caratterizzati dalla assoluta ed allarmante commistione tra gli apparati criminali, il braccio armato e i “colletti bianchi “. Dopo l’esecuzione delle misure cautelari sono state eseguite misure di prevenzione, con sequestri di beni e aziende molto significativi ed importanti. Attraverso la richiamata attività di ricostruzione e lettura unitaria di elementi raccolti in diverse indagini, accompagnata dallo svolgimento di indagini tradizionali (acquisizione di dichiarazioni di persone a conoscenza dei fatti e attività d’intercettazione) è stato inoltre possibile ricostruire l’operatività, sempre nella città di Latina, di un sodalizio autoctono a caratterizzazione mafiosa, il clan Di Silvio.
Alcune delle condotte poste in essere dagli appartenenti al clan apparivano del tutto singolari e tipiche delle associazioni mafiose, come una serie di estorsioni compiute in danno degli avvocati o altre apparentemente finalizzate all’acquisizione di profitti di importo estremamente modesto. Chiaro come il fine di tali delitti non fosse quello di conseguire un arricchimento quanto, piuttosto, quello di rimarcare il potere criminale sul territorio: “Serve a dire: entro qua dentro, sono padrone del territorio, faccio la spesa – che sia un corredo o la spesa al supermercato non ha importanza – e non pago, perché qui sono il padrone e non devo pagare su un territorio che è mio. Questo è il senso […]. La scelta strategica di aggredire persino alcuni avvocati ha una funzione anche in questo caso non predatoria ma intimidatoria rispetto alle modalità di esercizio delle funzioni difensive, senza le quali non esiste il processo, non c’è contraddittorio, non c’è dialettica nel processo, non ci può` essere nulla“.
La contestazione di “reati di mafia” (sia nella forma dell’associazione di tipo mafioso sia in quella dell’aggravante del metodo mafioso e della finalità agevolatrice) ha indotto la scelta di collaborare con la giustizia di una delle persone tratte in arresto realizzando, secondo quanto riferito dal dottor Prestipino, un duplice effetto positivo: per un verso, la scelta di uno degli accoliti di collaborare con la giustizia ha indebolito l’immagine di apparente invincibilità, di “strapotere “, sulla quale poggiava il sodalizio; per altro verso, l’importante contributo dichiarativo reso dal collaboratore, che aveva un ruolo non marginale nell’associazione (270), accuratamente riscontrato, ha consentito il pieno disvelamento del settore d’intervento del gruppo criminale.
Molte indagini, alcune delle quali ancora in corso, hanno permesso di ricostruire una serie di altre condotte illecite (condizionamento di attività economiche, attività criminali di tipo predatorio, droga, estorsione, usura) e soprattutto di delineare i rapporti tra il sodalizio, la politica e la pubblica amministrazione. In proposito ha riferito il dottor Prestipino che erano ancora in corso le attività volte a riscontrare le dichiarazioni del collaboratore e che, tuttavia “circa i rapporti con la politica – parliamo ovviamente di amministrazione locale – abbiamo raccolto una serie di dichiarazioni che riguardano soprattutto alcune vicende attinenti a competizioni elettorali, in particolare le elezioni politiche del febbraio 2013, le elezioni del sindaco di Latina del giugno 2016 e quelle precedenti del maggio 2011, le elezioni del sindaco di Terracina del giugno 2016, oltre a tutta una serie di altre vicende che riguardano minacce e intimidazioni ad amministratori locali. Su ciascuna di queste abbiamo dichiarazioni dei collaboratori, alcune delle quali sono divenute pubbliche perché i suddetti collaboratori sono stati escussi nel dibattimento, che è pubblico”.
L’audito si è quindi soffermato a descrivere il contenuto di un’ordinanza di custodia cautelare eseguita la mattina stessa dell’audizione, in ordine a tre ipotesi di reato aggravate dal metodo mafioso: “Un’estorsione; un’illecita concorrenza violenta rispetto alla quale il giudice per le indagini preliminari ha ritenuto di ravvisare il reato di estorsione piuttosto che quello di cui all’articolo 513-bis del codice penale; infine, una violenza privata in relazione ad alcune condotte legate alla campagna elettorale riguardanti in linea di massima rapporti con alcuni soggetti dell’attualità politica”.
In particolare, il clan Di Silvio destinava alcuni degli uomini del clan ad una vera e propria attività di campagna elettorale, “con un prezzario riferito ai servizi di attacchinaggio e di vigilanza sui manifesti affissi, oltre ad una serie di altri servizi collegati alla campagna elettorale“.
Ha precisato il Procuratore come anche i rapporti con la politica locale non servano al clan per guadagnare in termini economici: “L’attacchinaggio non viene fatto per i soldi che il servizio rende. E’ chiaro che dietro ci sono delle utilità in più, al di là del pagamento, che avvantaggiano sia il clan, ma anche chi dal punto di vista politico si serve del clan per attaccare i propri manifesti. Una famiglia mafiosa gode di quel consenso sociale. In certi luoghi del nostro territorio, un imprenditore non ha bisogno di chissà cosa per accreditarsi; basta che si mette a braccetto del boss locale o di un capo mafia e la domenica o il sabato pomeriggio percorre il corso principale a braccetto dell’altra persona. Ciò senza bisogno di spiegazioni, ha una chiarissima valenza per tutti. Pertanto, come succedeva in certe gare in Sicilia, le offerte venivano fatte solo da quell’imprenditore perché tutti gli altri avevano già da soli capito che non valeva neppure la pena fare un’offerta. Questa cosa ha ovviamente un significato, come l’attacchinaggio, perché, quando viene fatto dai Di Silvio, significa che in modo visibile i Di Silvio appoggiano quel tipo di candidato e quella soluzione in quella competizione elettorale […]. Questo rapporto non è riducibile soltanto al fatto del manifesto. Si parte dal manifesto e da lì si costruisce un rapporto che arriva anche all’aiuto e all’agevolazione dell’imprenditore di riferimento del clan […]”.
La Commissione ha infine sottolineato l’importanza di mantenere alta l’attenzione sul territorio e di continuare ad operare con determinazione per contrastare la criminalità organizzata e proteggere la legalità e la sicurezza dei cittadini.