Cronaca

Cassino / Delitto Serena Mollicone, al banco dei testimoni Sonia Da Fonseca conferma tutto [VIDEO]

CASSINO – Ha confermato tutto. Annarita le confidò di aver visto Serena la mattina del giorno, il 1 giugno 2001, della sua scomparsa entrare nella Caserma dei Carabinieri di Arce. Non ha deluso le aspettative la lunga audizione di Sonia Da Fonseca nella nuova udienza del processo per la morte di Serena Mollicone. La donna di 59 anni, dopo essere stata finalmente rintracciata presso il suo domicilio di Arce, ha risposto alle domande dell’avvocato Dario De Santis, il legale di parte civile del padre e dello zio di Serena, Guglielmo e Antonio Mollicone. E, facendolo, ha confermato quanto aveva detto ai Pm in occasione della riapertura delle indagini. Ha ribadito le confidenze ricevute da Annarita Torrriero, la sua vicina di casa presso il complesso Ater di Ceprano (dove ha la residenza) e amica del brigadiere suicida Santino Tuzi, il Carabiniere in servizio il giorno della scomparsa e dell’omicidio di Serena.

Annarita quel giorno era andata ad Arce per portare un panino ed una scheda telefonica a Santino. Questa confidenza le fu fatta la mattina dell’11 aprile 2008, il giorno del suicidio del brigadiere che da lì a qualche giorno avrebbe dovuto confermare le dichiarazioni shock ai magistrati di Cassino circa la presenza di Serena nella caserma da cui non è più uscita viva.

Le due donne stavano insieme in auto quando Annarita chiese a Sonia di utilizzare il suo telefonino per rintracciare Santino perchè il suo era scarico. La donna nutriva un triste presentimento che l’amico brigadiere potesse fare qualche schiocchezza. Santino aveva confidato ad Annarita di temere per lui e per la sua famiglia perchè “sapeva troppo che cose sul conto della sparizione della studentessa”.

La stessa Annarita Torriero sapeva del coinvolgimento di Marco Mottola nell’omicidio di Serena Mollicone. E in quest’ottica Santino Tuzi, che si sarebbe confidato con un altro Carabinieri nel frattempo trasferitosi a Strangolagalli, avrebbe raccomandato la stessa Annarita – secondo la versione di Sonia Da Fonseca – a tenere la bocca chiusa perchè temeva per la sua incolumità e per quella dei suoi familiari.

La signora Da Fonseca, incalzata dai legali difensori di Franco, Marco e Annamaria Mottola, gli avvocati Mauro Marsella e Francesco Germani, non ha saputo invece dire se l’ex amica Annarita avesse visto Serena nella caserma di Arca in altre circostanze diverse dal 1 giugno 2001. E perchè non ha informato i Carabinieri sull’entità delle confidenze ricevute ? “Perchè in questa storia non c’entravo nulla – ha detto poi la Da Fonseca nell’intervista video rilasciata al termine della sua drammatica deposizione ai numerosi giornalisti presenti – Anzi, maledetto quel giorno che ho prestato il mio telefonino ad Annarita. Che errore che ho fatto. E ne sto pagando le conseguenze e mi sto assumendo, come oggi, tutte le mie responsabilità”.

E’ assai probabile che le due donne, dopo i diversi “non ricordo” di Annarita Torriero nella sua deposizione nelle fasi iniziali di questo procedimento, siano messe a confronto davanti la Corte d’Assise del Tribunale di Cassino perchè “ora più che mai è quanto meno necessario – hanno detto i legali della famiglia Mottola – per stabilire la verità”.

L’attendibilità di Sonia Da Fonseca era stata sintetizzata dall’informativa dei carabinieri che raccolsero il suo verbale il 6 ottobre 2008: “Non aveva interessi o implicazioni nella vicenda e di certo non poteva conoscere aspetti molto particolari e circostanziati che non ha vissuto direttamente né potevano essere di dominio pubblico: ne consegue che l’unica fonte da cui la stessa abbia potuto attingerle è davvero la sua amica Anna Rita Torriero, come d’altronde la Da Fonseca ha sempre affermato”

In apertura di udienza era sta interrogata un’amica di Serena, Elena Consiglio di Arce. La mattina del 1 giugno di 21 anni viaggiarono insieme sul bus diretto a Sora dove Serena avrebbe dovuto fare la maturità al quarto anno di magistrale ed Elena, di un anno più grande, completare l’anno integrativo. Serena scese per prima ad Isola Liri per effettuare presso un dentista del posto un’ortopanoramica. Per Elena era tutt’altro che preoccupata, parlava con tutti con estrema tranquillità. 

Maurizio Grimandi conosceva sia Marco Mottola che Serena Mollicone. Ha considerato “inverosimile”, definendola “una barzelletta”, la voce che circolava all’epoca ad Arce in base alla quale si utilizzasse la Caserma dei Carabinieri per fumare hashish.

Serena, invece, non fumava. Anzi era contro ogni forma di droga ed era scossa per la morte di alcuni suoi amici per overdose. Il suo malessere l’aveva esternato poco prima che morisse in un convegno in cui si dibatteva il rapporto “Giovani e droga ad Arce. L’ha ribadito nel suo drammatico interrogatorio lo zio paterno di Serena, lo psicologo Antonio. Ha ripercorso i diversi momenti in vita di Serena ed un gesto tenero c’è stato quando – Franco e Marco Mottola avevano deciso nel frattempo di abbandonare l’aula della Corte d’assise – Mollicone ha estratto una scatola un paio di scarpe che papà Guglielmo aveva acquistato alla figlia martedì 29 maggio 2001 presso la fiera di S.Eleuterio.

Quelle scarpe, a distanza di 21 anni, sono nuove di zecca. Serena non le mai più calzate. Zio Guglielmo, interrogato dall’avvocato De Santis, dalle altre parti civili, dal sostituto procuratore Beatrice Siravo, ha ripercorso minuziosamente le fasi della scomparsa, della prime ricerche della nipote e del ritrovamento del suo suo cavadere nel boschetto di Fonte Cupa il 3 giugno 2001. Ha anche sottolineato come il telefonino di Serena sia al centro di altri depistaggi. Inizialmente era introvabile, nottetempo fu rinvenuto nel comò della camera da letto che papò Guglielmo aveva chiuso. Serena avrebbe voluto frequentare l’Università a Perugia e diventare una veterinaria – ha concluso Antonio Mollicone – iscriversi ad un corso di lingue straniere, magari di francese, o a quello di scienze della comunicazione. Ma il suo grande sogno era quello di andare a dormire la sera e sapere che il mondo fosse felice.

L’udienza era stata inaugurata da una richiesta avanzata dal Pm Siravo che, appellandosi al quarto comma dell’articolo 500 del codice di procedura penale, ha chiesto che vengano ammesse all’istruttoria dibattimentale le prime Sit di un teste che – suo dire – sarebbe stato minacciato e ricattato per mentire.

Nel mirino della Procura è finita Bianchi, è la barista del bar Chioppetelle che disse (il 17 aprile 2002) di aver visto Serena litigare con un ragazzo “biondo meshato” alle 10 della mattina in cui poi scomparve.

È la stessa descrizione fatta anche da Carmine Belli (poi processato e assolto per l’omicidio) e corrisponde all’aspetto di Marco Mottola, il figlio del comandante della stazione dei carabinieri. Simonetta alcuni mesi più tardi, il 25 aprile 2002, fu chiamata a confermare queste dichiarazioni e il riconoscimento ma produsse un certificato medico che attestava lo stress dovuto all’incidente stradale in cui suo padre Alfredo il 6 dicembre 1999 – l’incidente avvenne il 21 novembre di quello stesso anno – aveva perso la vita mentre era lei alla guida: “non ricordo più nulla perché sono successe molte cose” disse.

La Bianchi si rifugiò in “molti non ricordo” che per la Procura è “illogica” perché prima di quella data di luglio la stessa Bianchi era stata sentita altre sette volte senza mai produrre documentazione medica. La pm Siravo ritiene quindi che la ragazza, ora docente di scuola media superiore, sarebbe stata “condizionata e quindi non è attendibile” per quanto detto nel corso del processo. Il suo è stato un “atteggiamento timoroso dovuto non da interna paura ma da influenza esterna, altrimenti non sarebbe andata a testimoniare già con certificato medico”. Sullo sfondo di questo dietro front ci sarebbe la causa di risarcimento ed il processo penale cominciato il 18 giugno 2002 per la morte del padre della Bianchi. I carabinieri Mottola e Tuzi erano testimoni per aver redatto il verbale del sinistro e, secondo il pm , avrebbero posta la barista sotto “minaccia di esito negato del procedimento a suo carico, facendola oggetto di indebite pressioni”.

Se la Bianchi – secondo la dottoressa Siravo – nonostante lo stress non ha mai chiesto un giorno di assenza dal lavoro, la richiesta di accorpare le sommarie informazioni ha visto le parti dividersi. La corte d’assise si è riservata di decidere dopo che le difese si sono opposte per questioni di logicità (“Se fosse inattendibile lo sarebbe stata già ai tempi della prima testimonianza”), sia per questioni procedurali che infine per questioni di contenuto perché il suo primo riconoscimento del ragazzo che era con Serena non corrisponderebbe all’aspetto di Marco Mottola.

Prossima udienza venerdì 1 aprile con l’audizione di altri testi indicati dall’avvocato De Santis e dalle parti civili rappresentate dagli avvocati Elisa Castellucci e Federica Nardoni. Saranno sentiti i tre testi che venerdì avrebbero dovuto deporre: l’ex maresciallo dei Carabinieri Bruno Cimini, che dopo la scomparsa di Serena fu personalmente protagonista delle ricerche della studentessa, del marito di Annarita Torriero Massimiliano Gemma e del commerciante Vincenzo De Luca, il proprietario della ferramenta presso la quale – secondo i Carabinieri – sarebbe stato venduto il filo di ferro con cui furono immobilizzati i piedi di Serena subito dopo il delitto.

Il presidente della Corte d’Assise Massimo Capurso ha deciso a sorpresa che Gemma (sarà importante il suo interrogatorio dopo le conferme clamorose della Da Fonseca) e De Luca vengano accompagnati coattivamente in aula dai Carabinieri. La settimana prossima, inoltre, sarà interrogata in video conferenza dal consolato italiano di Perth, in Australia, dove insegna nella locale università l’entomologa forense Paola Magni. Il Presidente Capurso con un’ordinanza ha escluso il suo ritorno in Italia sia per gli altri costi di trasferimento (circa 9000 euro) che per la persistente emergenza epidemiologica.

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