Ponza / Acqualatina: il Tar respinge un altro ricorso, il dissalatore sarà realizzato a Cala dell’Acqua

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PONZA – Ponza, come Ventotene, sarà autonoma per il proprio approvvigionamento idrico. Addio, dunque alle imbarcazioni che in partenza da Napoli, Terracina e Formia tuttora riforniscono d’acqua la principale isola pontina. L’ha deciso il Tar del Lazio che, dopo aver respinto nel 2020 un ricorso del Comune (bocciatura confermata anche dal Consiglio di Stato), ha rigettato l’ulteriore impugnazione avanzata da due cittadine (una delle quali moglie di un importante diplomatico americano a Roma) contro una determina dirigenziale con cui l’Ato 4 il 23 gennaio 2019 aveva concluso favorevolmente la conferenza di servizio convocata per esprimere i diversi pareri finalizzati ad autorizzare Acqualatina alla realizzazione di impianto di dissalazione – Modulo Skip temporaneo – in località Cala dell’Acqua, a Le Forna.

Per i giudici amministrativi la procedura seguita dall’ambito territoriale ottimale e dallo stesso ente gestore è stata corretta, non viola soprattutto le prescrizioni del piano regolatore del Comune e, dunque, il sito di Cala dell’Acqua può ospitare un impianto avveniristico in grado di dissalare l’acqua del mare per scopi potabili e dunque, rendere Ponza autosufficiente, soprattutto durante la stagione turistico-balneare, dal punto di via idrico.

Le due ricorrenti, proprietarie di due immobili confinanti con l’area prescelta dai tecnici dell’Ato 4, avevano sostenuto come lo stesso comune di Ponza avesse espresso un parere contrario all’opera mentre quello della Regione, positivo sì, si limitava alla provvisorietà dell’impianto.

A dire delle firmatarie del nuovo ricorso al Tar la determina autorizzativa dell’Ato 4 di tre anni fa non sarebbe mai stata pubblicata e, di conseguenza, le due donne si erano trovate nell’impossibilità all’epoca di impugnarla in considerazione delle “peculiarità urbanistiche, storiche, paesistiche ed ambientali dell’area di Cala Dell’Acqua, ubicata nei pressi dell’omonima vecchia miniera, classificata dalla stessa regione Lazio nel 1983 come “zona destinata al recupero urbanistico ed ambientale”.

In più il comune di Ponza, in sede di conferenza di servizi, aveva evidenziato questa caratteristica, rappresentando l’esistenza di una “zona bianca” nell’area dove si sarebbe realizzato il dissalatore mobile e quello definitivo.

Le ricorrenti sono andate oltre. E hanno contestato anche quanto dichiarato dall’ente d’ambito che, contestando le criticità all’epoca avanzate dalla Giunta del sindaco Francesco Ferraiuolo, aveva sostenuto come…”l’intervento non sia in contrasto con il Prg vigente in quanto non comporta il cambio di destinazione d’uso delle aree interessate dai lavori, né la variazione dello strumento urbanistico, come chiarito anche dalla Regione Lazio nel gennaio 2018″.

Nel ricorso Tar è stata contestata anche la contradditorietà delle posizioni della Regione: se da una parte considerava lo studio di incidenza “impreciso, disorganico e di lettura faticosa per la presenza di cospicue parti relative ad un intervento differente previsto nella stessa area (il porto turistico)…”, dall’altra aveva ritenuto, “senza alcuna motivazione, ma unicamente appiattendo la propria valutazione su un’indagine redatta a cura dell’Ato 4,“…la realizzazione del progetto…non comporti significativa perdita, frammentazione o degradazione di habitat”. Insomma il via libera regionale – secondo la posizione delle firmatarie del ricorso al Tar – avrebbe determinato “effetti pregiudizievoli sull’ambiente”.

L’Ato 4 è stato accusato anche di non aver previsto siti alternativi per realizzare a Ponza un impianto di dissalazione dell’acqua.

La Giunta della Regione Lazio aveva approvato nel settembre 2004 un accordo di Programma finalizzato al trasferimento della centrale termoelettrica “Sep” in località “Monte Pagliaro”.

“L’omessa valutazione di questo sito alternativo era ancor più sorprendente se solo si osservava che, come desumibile dal verbale della conferenza di servizi in data 24 gennaio 2013, il medesimo Ente regionale aveva presentato un progetto preliminare per la realizzazione di un dissalatore presso “Punta di Capobianco”, in prossimità del luogo ove era stata trasferita la centrale termoelettrica e, a tal fine, il Comune di Ponza aveva già acquisito il parere urbanistico favorevole dell’Ufficio tecnico e si era reso disponibile ad avviare la procedura in variante al Prg”.

E poi il Tar è stato chiamato a pronunciarsi sulla illegittimità della concessione demaniale marittima rilasciata ad Acqualatina. Per i giudici amministrativi si tratta, invece, di terreni di proprietà comunale non riconducibili al demanio marittimo: il primo era classificato come vigneto, il secondo come cava, il terzo considerato come “fabbricato urbano” da accertare.

In effetti le sottoscrittrici di questo ricorso hanno motivato la loro opposizione al dissalatore temendo di subire “effetti ambientali e patrimoniali in virtù di maggiore antropizzazione (come l’inquinamento acustico causato dagli impianti che costituiscono l’opera), una minore qualità panoramica, ambientale e paesaggistica, oltre a certa e significativa diminuzione di valore del proprio immobile.”

La risposta, secca, del Tar, è stata la seguente: La nozione di “vicinitas” è legittimata ma non lo è più quando deve far fronte all’allocazione di un’opera di interesse pubblico…”. Ed il dissalatore di Ponza, oltre ad un vincolo di destinazione ad uso pubblico, è stato dichiarato di pubblica utilità.  Si tratta di un principio avallato dall’adunanza plenaria del Consilio di Stato del 9 dicembre scorso e secondo il Tar per il caso del dissalatore di Ponza non basta la motivazione di essere vicini ad un’opera pubblica per bloccare la stessa. Servivano altre motivazioni che le due ricorrenti non avrebbero presentato

L’affondo finale del Tar è da investigazione privata: “In particolare, è stato rilevato dall’Ato4, con argomenti non confutati dalle ricorrenti, che le particelle di proprietà delle stesse non sono confinanti con il sito “ex minerario” dove deve essere realizzato il dissalatore, né possono qualificarsi come collocate nelle immediate vicinanze e insediate nell’area della vecchia miniera. La proprietà della signora Iodice si colloca a una distanza stradale di circa 600 metri e ad una distanza aerea di 432,86 metri, e quella della signora Fabrizi a una distanza stradale di circa 400 metri e aerea di 243,25 metri, come da dati catastali e ‘report’ fotografico depositati in giudizio. Inoltre, le abitazioni sono poste su due rispettive alture, in aree parzialmente urbanizzate ove insistono ulteriori fabbricati adibiti ad uso abitativo, laddove l’area del dissalatore è in un piazzale inserito in un sito minerario dismesso, ove insiste anche lo stabilimento di una centrale elettrica di peack saving”.

Per quanto riguarda, poi, la minore qualità panoramica, ambientale e paesaggistica e una “significativa” diminuzione di valore dell’immobile, il Tar ha osservato come, dal suddetto “report” fotografico, per la particolare orografia del territorio, non si riscontra che le rispettive abitazioni, poste su alture prospicenti l’insenatura di “Cala dell’Acqua”, soffrano della diminuzione di una visuale diretta sull’area sottostante. Inoltre, non risulta dimostrata, nemmeno “in astratto”, la diminuzione della qualità ambientale e paesaggistica su cui inciderebbe il realizzando impianto di dissalazione, di pubblica utilità, dato che, come riferito dall’Ato 4, l’impianto “skid” è posto in un “container” di piccole dimensioni, poggiato al suolo e totalmente schermato, su tutto il perimetro, da essenze arboree autoctone, ad alto fusto e ombreggianti, che nascondono lo stesso e i suoi accessori. Indimostrata è anche l’asserita significativa diminuzione di valore degli immobili, in sito che beneficerà, come tutta l’isola, della presenza di un impianto di dissalazione, ritenuto indispensabile proprio per una migliore gestione della qualità di vita degli abitanti”.