Formia / Omicidio Langella, le motivazioni della sentenza: Tamburrino ha un “disturbo di personalità”

Cronaca Formia

FORMIA – L’indagato al momento dell’aggressione mortale era capace di intendere e di volere, portatore di uno disturbo di personalità rilevante tale da rendere problematici i suoi rapporti con il consesso sociale. Sono alcune delle motivazioni, pubblicate in questi giorni, con cui i giudici della prima sezione della Corte d’Assise di Appello di Roma lo scorso 3 ottobre hanno condannato a nove anni di reclusione Andrea Tamburrino, il 44enne gigolò di Cellole ma da anni trapiantato a Scauri considerato il colpevole della morte, avvenuta la notte del 2 dicembre 2016, di Giuseppe Langella, l’autotrasportatore di 52 anni di Formia con cui viveva all’interno della villetta che occupavano in via Giovenale, in località Acquatraversa a Formia.

L’uomo, imputato con l’accusa di omicidio preterintenzionale, aveva beneficiato di un ‘sconto’ di pena di un anno ed otto mesi di reclusione rispetto alla condanna di primo grado infertagli il 27 novembre dello scorso anno al termine del giudizio immediato celebrato con il rito abbreviato davanti il Gup del Tribunale di Cassino Salvatore Scalera. Il procuratore generale Luca Labianca aveva respinto la richiesta di patteggiamento in appello a sette anni ed otto mesi di carcere avanzata dal legale di Tamburrino, l’avvocato Pasquale Cardillo Cupo, per poi chiedere con la sua requisitoria l’integrale conferma della sentenza di primo grado. Con le motivazioni i giudici d’appello, coordinati dal presidente Andrea Calabria, hanno anche ricostruito la dinamica dell’aggressione mortale e soprattutto hanno condiviso la tesi accusatoria del sostituto procuratore Chiara D’Orefice, quella effettuata da Tamburrino fu un’aggressione a freddo, frutto della collera dell’imputato dopo aver rinvenuto durante la notte la vittima addormentata nel suo letto, nell’unica stanza della villetta di Acquatraversa in cui era stata installato l’impianto di un televisione satellitare. La difesa aveva invece sostenuto come Tamburrino fosse caduto accidentalmente dalle scale e che le fratture costali repertate in autopsia potessero essere stata provocate dal vano tentativo di rianimazione da parte degli operatori del 118.

Per i giudici d’appello questa ricostruzione non corrisponde a verità. L’analisi della scena del crimine colloca le tracce ematiche derivate dall’iniziale aggressione e le tracce biologiche riconducibili ai protagonisti della vicenda fra la camera da letto- dove si trovava il letto sul quale pacificamente si era addormentato Langella- e il corridoio che conduceva al pianerottolo che apriva sulla rampa delle scale. “Per quanto nella prassi possa accadere che manovre particolarmente energiche di rianimazione provochino quel tipo di lesione, si deve osservare, da un lato, che – si legge nella sentenza della prima sezione della Corte d’Assise d’appello di Roma – quando gli operatori sanitari usano il ginocchio per rafforzare la propria azione violano i protocolli che escludono suddetta manovra; dall’altro lato, gli operatori del 118 intervenuti in casa dell’appellante hanno escluso di avervi fatto ricorso, e pertanto a un fatto obbiettivo- le fratture costali obbiettivamente ancorato a una dinamica omicidiaria si contrappone, da parte della Difesa, una congettura smentita dal materiale probatorio. E, dunque, le fratture costali, che aggravano il quadro già reso critico dall’ematoma subdurale, non possono che essersi prodotte contestualmente all’ematoma stesso”.

Ed ecco la ricostruzione del delitto secondo la sentenza di secondo grado: “Tamburrino rientra, per ragioni che non si è in grado di determinare (che si sia adirato perché il povero Langella dormiva nel letto è una considerazione indubbiamente suggestiva, ma sfornita di convincenti elementi di sostegno) aggredisce la vittima, la abbatte contro lo spigolo e il pavimento, provocando le lesioni che determinano l’ematoma subdurale, monta su di lei colpendola ripetutamente, provocando le fratture costali che vanno ad aggravare il quadro che si è già determinato, rendendolo irreversibile. Se questa è la dinamica omicidiaria, risulta irrilevante accertare se Langella abbia raggiunto le scale dopo essersi deterso, ovvero vi sia stato trascinato da Tamburrino in una sorta di attività di “staging”. A sostegno della prima tesi il fatto che la vittima viene ritrovata con della carta assorgente sporca di sangue in mano (tipico di chi si deterge da se la ferita), a sostegno della seconda la violenza dell’aggressione che potrebbe aver determinato un’immediata e radicale perdita di conoscenza. Nell’uno e nell’altro caso, il delitto contestato si perfeziona a seguito delle violente percosse inflitte alla vittima. La sorella della vittima, attraverso l’avvocato Vincenzo Macari, si era costituita parte civile ottenendo il diritto a beneficiare di un risarcimento danni da liquidarsi in separata sede.
Saverio Forte