Cronaca

Formia / Estorsione e associazione mafiosa: chiesti 15 anni per Katia Bidognetti

FORMIA – E’ giunta anche a Formia, negli ovattati ambienti investigativi del locale gruppo della Guardia di Finanza, l’eco della durissima requisitoria formulata dal Sostituto Procuratore della Dda di Napoli Alessandro D’Alessio nei confronti dei 31 imputati, per lo più donne, raggiunti da ordinanze di custodia cautelare eseguite a Formia, L’Aquila, Casal di Principe e Parete nel febbraio 2017 nei confronti degli affiliati o di elementi contigui alla fazione Bidognetti del clan dei Casalesi. Una parte di quelle indagini, parte integrante dell’operazione “Re-Start”, fu compiuta proprio e in maniera brillante e circostanziata dagli agenti delle Fiamme Gialle di Formia che in città eseguirono l’arresto più eccellente, quello di Katia Bidognetti, figlia prediletta di Francesco ““Cicciotto e’ mezzanotte”.

Secondo la ricostruzione della Dda, avallata dalle indagini della Finanza formiana, la fazione militare dei Casalesi stava cercando di ricostruire le proprie fila seguendo le tracce di due figlie del capoclan recluso al “41 bis”, Katia e Teresa. Il Pm D’Alessio nella sua requisitoria durante il processo che si sta celebrando con il rito abbreviato davanti il Gup del Tribunale di Napoli ha chiesto per le due donne rispettivamente 15 e 6 anni di reclusione con le ipotesi accusatorie di associazione mafiosa, ricettazione ed estorsione aggravata dal metodo mafioso compiute, per lo più, ai danni di imprenditori di Casal di Principe, San Cipriano d’Aversa, Villa Literno, Cellole, Castel Volturno, Acerra e Roma. La requisitoria del dottor D’Alessio ha fatto leva sulle dichiarazioni spontanee rese durante il dibattimento da un’importante ed inattesa “gola profonda” dell’organizzazione camorristica: nel suo finito era finita proprio Katia Bidognetti che da anni si era trasferita nel sud-pontino, a Itri prima e a Formia poi.

Si è trattato di Stanislao Cavaliere, di 51 anni, di Casal di Principe, una freccia nell’arco, una delle prove d’accusa che la Procura antimafia del capuologo campano ha messo sul tavolo nel procedimento in cui si sta cercando di fare chiarezza in merito ad altri episodi estorsivi compiuti dal 2009 in poi. E le dichiarazioni di Cavaliere hanno chiamato in causa proprio l’ex marito di Katia Bidognetti, Giovanni Lubello, di Casal di Principe, ma residente a Formia in via Della Conca dopo la separazione dalla moglie: l’uomo, per il quale il Pm D’Alessio ha chiesto 8 anni di reclusione, nel febbraio 2017 era stato coinvolto nell’operazione “Re-Start” per un episodio estorsivo risalente al 2009 quando l’ex moglie, in forza del suo importante cognome, avrebbe costretto i gestori del resort “Mama” di Cellole, in provincia di Caserta, ad acquistare una partita di vino proprio da lui. A raccontare tutto ai Pm della Dda campana era stato il 29 settembre 2014 il titolare dell’attività ricettiva di Cellole: “Il mio socio si occupava di acquisti e forniture – aveva spiegato uno dei due gestori – e mi aveva riferito che Lubello voleva venderci una fornitura di vini. Gli dissi che c’erano problemi di disponibilità finanziaria e lui mi riferì che avevano concordato un pagamento dilazionato. Pertanto acconsentii, perché sapevo chi era il fornitore e soprattutto per timore. Fummo costretti ad accettare”.

Nell’estate 2013, l’imprenditore si rese però conto che la prestigiosa azienda stava ancora pagando quel vino, circa mille euro al mese. Dalle carte inviate dal pm D’Alessio ai giudici della Corte di Cassazione, chiamati successivamente a pronunciarsi sull’istanza di revoca della misura cautelare nel frattempo emessa e notificata nei confronti dell’uomo, emerse un altro particolare. Nel finire del 2011, uno dei soci del resort aveva fatto presente che Lubello aveva proposto l’acquisto di un’altra fornitura di vini: “Dissi che non era un’operazione da poter concludere – aveva poi spiegato al pm D’Alessio – ma il mio socio mi rappresentò che era il caso di acquistare trattandosi del genero e della figlia di Bidognetti. Convenni per evitare ritorsioni. Specifico che avevo paura”. A marzo 2014, solo dal resort, Lubello avrebbe percepito 15mila euro, più un assegno non incassato da 4.500 euro.

Saverio Forte

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