Formia / Malasanità, 88enne gaetana aspetta da 46 anni per ottenere il risarcimento per l’epatite C

Cronaca Formia Gaeta

FORMIA – Dopo 46 anni dalle trasfusioni di sangue infetto da epatite C è arrivata la prima sentenza positiva in favore di una donna di Gaeta di 88 anni. Nel 1970, quando aveva 42 anni, e poi ancora nel 1978 all’anziana donna erano state trasfuse 20 sacche di sangue presso l’Ospedale “Dono Svizzero” di Formia.

La Corte di Roma ha accolto l’appello dell’Avv. Renato Mattarelli che aveva impugnato la sentenza di prescrizione del Tribunale di Roma secondo cui la causa doveva essere promossa entro 5 anni dalle trasfusioni del 1970 e del 1978. “Al massimo – affermava la sentenza impugnata e ribaltata in appello – la donna di Gaeta avrebbe dovuto iniziare la causa entro il 1992 quando venne promulgata la legge n. 210/1992 (tuttora vigente) che riconosce un “Indennizzo in favore dei danneggiati irreversibilmente da vaccinazioni obbligatorie e trasfusioni di sangue ed emoderivati”.

Secondo il  tribunale di Roma, l’88enne di Latina che nel 2009 aveva ottenuto l’indennizzo legge n. 210/1992 (un assegno mensile di circa € 800,00 a vita) proprio tramite l’Avv. Renato Mattarelli, non poteva non conoscere il danno già dal 1992.

Diversamente, la Corte di Appello ha accolto la tesi dell’avvocato Mattarelli secondo cui non si deve confondere la conoscenza della malattia (epatite C) che è semplicemente un concetto clinico e di facile percezione (visto che chi ne è ammalato non può non sapere di essere infettato) con la conoscenza del danno risarcibile che è invece un concetto giuridico e di difficile percezione da parte di chi ha una epatite C (oppure epatite B o HIV, aids): sapere di avere una grave infezione (come l’epatite C) non significa affatto sapere da dove ha avuto origine il contagio (es. dialisi, intervento chirurgico, infezione ospedaliera, scambio di siringhe fra drogati, dentista, rapporti etero ed omosessuali, tatuaggi, body piercing, ecc. o appunto: trasfusioni).

L’avvocato Mattarelli ha sostenuto che, nel caso dell’88enne di Gaeta in particolare, la sua età avanzata e la sua oggettiva difficoltà di ricostruire decenni di vita, nonché tutti gli ingressi ambulatoriali, analisi e ricoveri (soprattutto ricordare che aveva avuto trasfusioni quasi 50 anni prima) non poteva certamente imputarsi all’anziana donna a cui, mai l’Asl di Latina ha inviato l’invito a sottoporsi ai test epatici.

Eppure, il dovere di vigilanza e controllo delle amministrazioni sanitarie locali (compresa quella di Latina) avrebbe dovuto loro imporre (subito dopo le acquisizioni delle conoscenze scientifiche di gravissimo rischio di epidemia infettiva delle trasfusioni di sangue date dopo lo scandalo del “Sangue infetto” degli anni ’90) di verificare a quali pazienti erano state effettuate trasfusioni di sangue nel periodo ricompreso fra gli anni ’60 – ’90 poiché notoriamente ad elevato rischio di contagio di epatiti B e C nonché HIV ed AIDS.

Se ciò fosse stato fatto, non solo l’88enne di Gaeta avrebbe conosciuto da subito di essere stata infettata da epatite C (e non solo più tardi nel 2008 a seguito dei normali controlli del sangue con transaminasi elevate), ma avrebbe potuto curarsi tempestivamente e prevenire la cirrosi epatica e il tumore al fegato sviluppatisi recentemente.

Di questo si discuterà il prossimo 25 maggio 2016 davanti alla Corte di Appello che con la sentenza n. 1874/2016 appena notifica all’avvocato Matarelli ha dichiarato non prescritta la domanda risarcitoria dell’anziana donna e con ordinanza chiesto una relazione medica per stabilire se quelle 20 trasfusioni somministrate 46 anni fa presso l’ospedale Dono Svizzero hanno contagiato l’88enne di Gaeta nonché l’entità dei danni.

Senza voler anticipare l’esito della processo in appello c’è da credere che sarà molto difficile per il Ministero della Salute e/o il PO Dono Svizzero dimostrare il contrario visto che alla donna è stato già accertato il nesso causale fra trasfusioni ed epatite in sede di richiesta dell’indennizzo legge n. 210/1992.

Semmai la partita giudiziaria si gioca sulla quantificazione dei danni patiti dall’anziana donna le cui condizioni di salute si sono repentinamente aggravate negli ultimissimi anni in cui la mera infezione si è trasformata in patologia epatica e poi in cirrosi ed infine in tumore al fegato.