Formia / Il “rumore” del dolore “senza colore”, la manifestazione contro la violenza sulle donne [VIDEO]

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FORMIA – Erano coperchi di pentole, erano tamburelli, erano bottiglie di plastica riempite di chincaglierie varie. Erano fischietti, erano mazzi di chiavi, erano bastoni battenti, erano voci. Erano persone, i loro passi e, in quel momento, la volontà di ribadire un convincimento: no alla violenza sulle donne. Erano a Formia, in via Vitruvio, erano parte di una manifestazione di protesta e sensibilizzazione partita da Piazza Vittoria, estesasi in un breve ma inteso corteo, e ritornata nella medesima piazza per condividere la “preoccupazione” sul tema.

E’ stato questo il “rumore” riecheggiato, ieri sera, sotto un tetto sconfinato di adesione, nato dall’intuizione di due consigliere comuali della città, Imma Arnone e Pola Villa, per la prima volta unite dalla ragionevolezza della condivisione di un’intenzione concreta e seria che non ammette divisioni di sorta. Nelle fila del corteo diverse espressioni del mondo politico – che hanno evidentemente colto e raccolto l’intento dell’azione apartitica; segno che la consapevolezza dello spessore della manifestazione ha trovato sponda.

In primis, la segretaria cittadina del Partito Democratico, Ottavia Raduazzo; ma tra le fila c’erano anche i consiglieri democratici, Alessandro Carta e Luca Magliozzi e c’era anche l’assessora alle Politiche Sociali del Comune di Formia Rosita Nervino. Per citarne alcuni. C’era il mondo dell’associazionismo e il mondo dell’arte con l’organetto di Laerte Scotti – che ha regalato una splendida interpretazione delle indimenticabili “Imagine” di Johm Lennon e “Tears Heaven” di Eric Clapton – e l‘opera d’arte del maestro Andrea Colaianni.

[…] You may say I’m a dreamer
But I’m not the only one […]

(“Imagine” di Johm Lennon)

E poi c’erano loro: cittadini e cittadine provenienti da varie città del comprensorio pontino che hanno espresso il bisogno di sentirsi parte di un tutto, parte di una domanda di rivendicazione di attenzione che aveva bisogno di uscire dagli spazi chiusi e “imporsi” all’ascolto. E’ nella loro energia che si poteva leggere la voglia di allontanare il pericolo che non si possa smettere di contare un numero crescente di vittime.

[…] And I know there’ll be no more
Tears in heaven […]

(“Tears Heaven” di Eric Clapton)

Verrebbe voglia a tanti di perdere qualsiasi abilità matematica dovendola usare per contare i casi di violenza su chiunque essa venga esercitata, in questo caso, sulle donne vittime di dinamiche di varia natura che si intrecciano fino ad esplodere in tragedie inaccettabili. C’è da scommettere che la sicumera di chi ha in proposito la soluzione in tasca non appartiene a tutti.  E’ legittima la convinzione che le argomentazioni esercitate in merito alle cause di queste pagine di cronaca non abbiano necessariamente una più valore dell’altra, anche perchè non è pensabile che ci sia una sola causa nè un’unica soluzione; i fattori sui quali intervenire sono tanti e complementari.

Dall’ultimo caso di cronaca che ha per vittima Giulia Cecchettin si è scatenata una nuova reazione dalla quale la speranza è che prenda vita un’azione, perchè la sola “reazione” non basta. E tante sono le domande da porsi e le risposte da costruire per una società civile che possa dirsi, serenamente, tale.

[…] Per vivere davvero ogni momento […]

(“Sally” di Vasco Rossi)

E’ vero bisogna darsi da fare oltre momenti simbolici e lo si può fare benissimamente anche in silenzio, ma erano tanti, erano le otto di sera di un giovedì passato a lavorare, erano commossi cantando “Sally” di Vasco Rossi o accennando “Donna” di Mia Martini, erano intenti a praticare la libertà, quella per cui, ogni tanto, vale la pena prendersi anche un momento per lasciar emergere il dolore della disapprovazione, dell’impotenza per quanto già accaduto e della fiducia per ciò che si spera non accada più.

[…] Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima.

(Cristina Torre Cáceres, artista e attivista peruviana)

Erano coperchi di pentole, erano tamburelli, erano bottiglie di plastica riempite di chincaglierie varie; erano fischietti, erano mazzi di chiavi, erano bastoni battenti, erano voci; erano persone; erano musica ed erano i versi di una poesia: il rumore del dolore. 

 

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