Formia / Nel quartiere di Gianola nasce un comitato contro il progetto di Villa Mamurra

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FORMIA – Pronti a tutto. Dichiarano di esserlo i componenti di un neonato civico che non ha proprio digerito i lavori eseguiti a stretto gomitato dall’ente Parco Regionale Riviera di Ulisse e dalla Soprintendenza ai beni archeologici del Lazio sul promontorio di Gianola con il recupero di parte della storica “Villa di Mamurra”, il Prefetto romano che, secondo la tradizione, sarebbe stato originario di Formia e protagonista insieme a Giulio Cesare delle vicende belliche culminate con l’invasione della Gallia.

C’erano anche alcuni di loro quando il 12 dicembre il presidente vicario della Regione Lazio Daniele Leodori, il presidente dell’ente Parco Riviera d’Ulisse Carmela Cassetta ed il consigliere regionale del Pd Enrico Forte e i rappresentanti dei comuni di Formia, Gaeta e Minturno. Si tratta dell’ex dirigente scolastico dell’istituto tecnico commerciale “Gaetano Filangieri Pasquale Scipione, Antonio De Meo, Bruno Gatta, Erasmo Lombardi, Leonardo Saltarelli, Luigi Nardella, Giovanni di Robbio e, soprattutto, dell’architetto Salvatore Ciccone. Quest’ultimo professionista ha assunto da settimane posizioni decisamente critiche contro la seconda del progetto della Soprintendenza archeogica che, grazie ad un finanziamento di 800 mila euro del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, è stato reso esecutivo su un’area di quasi 10mila metri quadrati concessi dall’ente parco. Questo comitato ha deciso di far leva sulla consulenza tecnico-scientifica dell’architetto Ciccone semplicemente perché lo storico dirigente della sezione formiana dell’Archeoclub è stato l’iniziale progettista (insieme all’ex assessore all’ambiente del comune Orlando Giovannone) per poi essere misteriosamente non confermato. E le conclusioni cui giunge questo comitato appena costituitosi sono decisamente gravi.

Con i “Lavori di recupero del patrimonio, restauro e messa in sicurezza”, il sito della Villa Mamurra presenta “ora consistenti alterazioni e contaminazioni del tutto fuorvianti il concetto stesso del Parco come area naturale protetta”. E lo spiegano pure Pasquale Scipione, Salvatore Ciccone, Antonio De Meo, Bruno Gatta, Erasmo Lombardi, Leonardo Saltarelli, Luigi Nardella, Giovanni di Robbio: “Sovvertimenti del suolo, improprie terrazze panoramiche su strutture monumentali, pavimentazione di calcestruzzo sui circa 200 metri lineari di percorsi ed elementi fuorvianti di arredo, queste le realizzazioni di maggiore impatto ambientale e visuale”. E poi per la realizzazione di queste opere – accusano – “si è proceduto all’arbitraria rimozione e copertura di murature antiche, innescando probabili dissesti strutturali e geologici dovuti alla raccolta dell’acqua piovana su superfici rese impermeabili. Nondimeno si constata come la definitiva recinzione dell’area interrompa la naturale continuità del Parco”.

Il comitato civico spontaneo di salvaguardia del Parco di Giànola critica anche la “definitiva sistemazione museale, realizzata sull’edificio Ottagonale con una nuova copertura di acciaio, in sostituzione di quella realizzata nel 2014-2016 contestuale al recupero iniziale di questo originale edificio con finanziamenti europei per 1milione di euro, abilitato alle visite, ma mai inaugurato”. Nel mirino dei componenti c’è proprio l’operato dell’ente Parco in termini di garantire all’intervento appena inaugurato una fruibilità turistica (“tradisce i suoi scopi istituzionali di conservazione e di divulgazione esemplare di un equilibrio tra natura e cultura”) così come viene definito “ugualmente appare travisato il compito del Ministero attraverso la Soprintendenza Archeologica, di superiore competenza nella tutela del patrimonio culturale”.

Questo comitato non ha intenzione di fermarsi qui. Ha annunciato che, di fronte a queste opere “di alterazione del paesaggio, con riflessi negativi sulle prospettive turistiche, ambientali, economiche di Formia e in particolare dei quartieri di Giànola – Santo Janni contigui all’area protetta”, chiederà il sostegno di altre associazioni per promuovere una petizione indirizzata agli Enti competenti per chiedere “un piano di recupero e di restauro ambientale dell’area archeologica nella sua unitaria consistenza, nel rispetto delle finalità stabilite dalle norme inerenti, tale da restituire al sito lo scopo di ricerca e al visitatore la particolare sintonia di natura e storia, non contaminata e distolta con ferro e cemento”. E non è cosa di poco conto.