Cassino / Delitto Mollicone, sfilata di testimoni: “Nella caserma c’era qualcuno, non era vuota”

Cassino Cronaca

CASSINO – Non sono mancati gli immancabili ‘non ricordo” ma c’erano i Carabinieri nella Caserma di Arce dove il 1 il giugno 2001 sarebbe stata uccisa Serena Mollicone. E’ quanto emerso nella nuova udienza, la prima del 2022, del processo, che si sta celebrando davanti la Corte d’Assise del Tribunale di Cassino, per la morte della studentessa 18enne di Arce, un delitto per il quale si stanno difendendo, a vario titolo, l’ex maresciallo Franco Mottola, sua moglie Anna Maria, il figlio Marco, ma anche l’ex luogotenente Vincenzo Quatrale e il carabiniere Francesco Suprano.

Il dibattimento – come da calendario – ha affrontato l’irrisolta questione, investigativa e processuale, relativa ai falsi ordini di servizio che sarebbero stati redatti dai Carabinieri in servizio il 1 giugno 2001 presso la stazione dei Carabinieri di Arce per depistare le successive indagini sulla presenza o meno di Serena nella caserma dell’Arma il giorno in cui fu uccisa la 18enne e, dunque, per escludere il loro coinvolgimento nel delitto.

I sostituti procuratori Maria Beatrice Siravo e Carmen Fusco hanno convocato in aula otto cittadini che avrebbero avuto a che fare con i Carabinieri impegnati all’esterno della caserma e i loro racconti hanno avvalorato la tesi della Procura. Non tutti e sette i testi presenti hanno parlato. Per quelli che non l’hanno fatto saranno valide le sommarie informazioni rilasciate agli inquirenti nel corso del tempo.

Domenico Cacciarella la mattina del 1 giugno 2001 subì il danneggiamento della carrozzeria della sua auto mentre transitava nei pressi del cimitero di Colfelice dove era aperto un cantiere per la manutenzione del camposanto. La decisione di rivolgersi ai Carabinieri l’aveva anticipata ad alcuni operai del cantiere: “Andai in caserma intorno alle 11 e parlai con qualcuno, non ricordo se ci parlai al citofono. Ad ogni modo – ha ricordato – sono andato in caserma ed ho parlato con qualcuno”.

C’è stato anche un colpo di scena perché il teste non ha riconosciuto in aula quanto verbalizzato a suo nome nel 2008 dai carabinieri nel corso delle indagini. Tredici anni fa l’uomo, sentito a sommaria informazione, risultò firmatario di un verbale in cui affermò “di non essere mai andato in caserma”.

Il direttore di quel cantiere era l’ingegner Tommaso Fraioli e ha riferito in aula che Cacciarella gli disse di essere andato proprio dai Carabinieri di Arce per denunciare il danneggiamento subito dalla sua auto.

Pasquale Simone il 1 giugno 2001 lavorava come meccanico a Rocca D’Arce e ha confermato di aver telefonato alle 11.07 prima e di essere andato in caserma alle 11.30 poi per denunciare lo smarrimento del libretto di circolazione del suo carro attrezzi: “Un carabiniere, oggi non saprei dire chi, mi fece accomodare nella sala di attesa e poi fu il maresciallo, il comandante Franco Mottola a verbalizzare la mia denuncia”.

Claudio Lancia è un ex carabiniere ausiliario che proprio prima delle ore 14 del primo giugno di 21 anni fa andò in caserma per il ritiro di una patente militare. “Non ricordo molto – ha detto l’uomo- Escludo che la riconsegna della patente sia avvenuta a casa mia”.

Teresa Magnante è stata chiamata a deporre su un controllo stradale che subì alle 12.30 del 1 giugno 2001. Ha ricordato di essere stata sottoposta ad un accertamento dei carabinieri in località Campo Stefano ad Arce ma non aveva capito – ha aggiunto – se fossero di Arce, oppure di altro comando. La donna ha rivelato un particolare sinora inedito, di trovarsi in compagnia del figlio reduce dalla partecipazione di un ritiro spirituale perché di lì a due giorni avrebbe fatto la prima comunione.

Si tornerà in aula venerdì 21 gennaio con l’udienza più attesa dell’intero processo. Deporranno la professoressa anatomopatologa Cristina Cattaneo e l’ingegnere Remo Sala, i consulenti della Procura che in occasione della riapertura delle indagini nel 2016 hanno concluso per la compatibilità tra il segno trovato sulla porta rotta del bagno dell’alloggio sfitto della Caserma e la frattura cranica isolata sul capo, poi imbavagliato con una busta di plastica, di Serena.