Cassino / Carcere, dopo tre anni resta il mistero sulla morte di un detenuto

Cassino Cronaca

CASSINO – Dopo tre anni è ancora un mistero chi e cosa provocò la morte di Mimmo D’Innocenzo, romano di 32 anni rinchiuso in isolamento nel carcere di Cassino. La mattina del 27 aprile del 2017 si sentì male, venne chiamata l’ambulanza, ma il ragazzo spirò nel corridoio mentre lo stavano trasportando fuori. Su un braccio, però, aveva un foro di siringa. Mimmo non faceva uso di eroina, figuriamoci poi se, isolato da tutti, avrebbe potuto farsi o procurarsi una sostanza.

I familiari, assistiti dall’avvocato Giancarlo Vitelli, scoprono che la sera prima al ragazzo sarebbero stati somministrati degli oppiacei, un forte calmante, magari iniettato in dose troppo massiccia, che lo ha ucciso. Da allora il fascicolo aperto dal Sostituto Roberto Nomi Bulgarini, non si è più mosso dal suo tavolo: nessuna risposta per mamma Alessandra Pasquiri che ora chiede “giustizia per mio figlio”. Nella vicenda sarebbero coinvolti una guardia penitenziaria dell’istituto di pena che avrebbe riferito agli inquirenti di avere prelevato la sera precedente il ragazzo dalla cella per portarlo in infermeria e due medici. Ma i sanitari avrebbero replicato che in infermeria quella sera non era stato visitato nessuno. Accertare questa circostanza, tuttavia, sarebbe stato semplice, se non fosse che, come spiega l’avvocato Vitelli, “è scomparso tutto il carteggio del diario clinico del carcere del mese di aprile». In sede di autopsia venne chiarito che il foro sul braccio del ragazzo era stato praticato nell’arco delle 24 ore precedenti, quindi non ci sono dubbi sul fatto che la morte sia collegata a quella iniezione.

Mimmo era un ragazzone bello robusto, qualcuno può avere pensato di tenerlo a bada. Ma chi e con quale cautele lo ha fatto? E, soprattutto, il 32enne poteva essere soccorso prima? C’è un superteste in questa vicenda che prima si è fatto avanti e poi è sparito. “Un altro detenuto nel novembre scorso mi ha contattata racconta mamma Alessandra era appena uscito dal carcere e la prima cosa che ha fatto fu cercarmi per dirmi che aveva questo peso dentro di cui liberarsi, per Mimmo. Mi raccontò che la sera prima a mio figlio fu fatta un’iniezione per calmarlo, perché non volevano che rompesse le scatole. Che già subito cominciò a sentirsi male. Poi però quest’uomo è scomparso”. La famiglia di D’Innocenzo ha fornito alla Procura il nome e cognome, “ma a noi non risulta che sia stato ancora sentito – dice la mamma – Mimmo era un giovane speciale dice Alessandra mi aveva scritto due giorni prima di morire, voleva tornare a essere se stesso, libero dal mostro della cocaina per occuparsi del fratello più piccolo che ora ha 15 anni e che lo adorava”

Quella del 32enne di Pietralata è anche una storia speciale. A vent’anni ebbe un grave incidente di moto sulla Tiburtina, finì in coma per alcuni giorni, a distanza l’assicurazione lo risarcì con 250mila euro, una cifra stratosferica per un ventenne e difficile da gestire. “Era un ragazzone buono Mimmo, fu avvicinato da brutti giri, pusher sicuri di avere trovato un cliente d’oro”. Comincia il calvario della coca. A 29 anni Mimmo decide di smettere ed entrare in comunità. Ma da solo non trova la forza. Quindi una mattina scende al supermercato sotto casa e a volto scoperto inscena una improbabile rapina, la polizia lo prende. Lui chiama la mamma al telefono: “Vedi ma’, mi sono costituito”. Al suo avvocato dell’epoca chiese di non ottenere attenuanti. «Mimmo riuscì ad entrare in comunità ad Assisi, poi però quando la condanna diventò definitiva me lo portarono a Cassino dove dopo appena un paio di giorni me lo hanno ucciso”- piange Alessandra.

Saverio Forte