Nave italiana attaccata dai pirati nel Golfo del Messico, a bordo tre marittimi di Gaeta

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GAETA – Una maledizione. Tre rappresentanti della marineria di Gaeta sono rimasti vittime di un nuovo atto di pirateria che ha avuto come scenario il “tranquillo” Golfo del Messico. Non dimenticheranno molto facilmente quanto è capitato a tre componenti originari di Gaeta dell’equipaggio della “Remas”, un’imbarcazione di supporto, di proprietà del gruppo italiano Micoperi di Ravenna, per le operazioni offshore di petrolio e gas. Come riporta questa mattina il quotidiano “Il Messaggero” in edicola, il comandante Giovanni Lupinelli, 34 anni, il primo ufficiale Alessandro Fiorenzano, 35 anni, e un altro ufficiale, Alessandro Spinosa, 34 anni, hanno vissuto sulla loro pelle quanto avvenuto l’altra notte: un commando formato da otto pirati a bordo di due piccole barche veloci hanno prima abbordato la Remas e, una volta a bordo, hanno aperto il fuoco contro l’equipaggio composto da ben 35 persone, compreso un ufficiale della Marina mercantile messicana, determinante per coordinare i primi soccorsi e le stesse indagini con le autorità locali.

Giovanni Lupinelli – Alessandro Fiorenzano – Alessandro Spinosa

L’atto di pirateria è stato consumato per portare a termine una rapina, definita “anomala”, ma ad avere la peggio, nonostante tutto, è stato uno dei tre marittimi di Gaeta, Alessandro Fiorenzano , colpito da un oggetto contundente alla testa mentre un collega è rimasto ferito da un colpo d’arma da fuoco al ginocchio. Sono stati gli stessi membri dell’equipaggio a prestare i primi e drammatici soccorsi ma notizie rassicuranti sono giunti dalla messicana Ciudad del Carmen dove la “Remas” ha attraccato scortata da una nave militare locale per ricoverare in ospedale i due marittimi feriti: nessuno di loro è in pericolo di vita. Fiorenzano ha raccontato quanto capitato a bordo in un whattsapp audio inviato al comandante del rimorchiatore Gianluigi Spinosa (che alleghiamo in calce all’articolo): “Pensavo di vivere in un film. Mi sono trovato cosparso di sangue non mio. Con questo ragazzo a terra. Mi ha guardato e mi ha detto ‘mi hanno sparato’. Non mi ero neanche accorto che dietro di me c’erano i pirati. Sono andato in cucina a prendere delle bende. Ho cercato di fermare il sangue con dei fili elettrici, del caricabatterie del telefono ma dei marinai si erano chiusi in una cabina e loro pensavano che io fossi un pirata e non mi aprivano. Allora mi sono preso questo ragazzo ferito e me lo sono tenuto stretto stretto e gli dicevo ‘non ti preoccupare, ti hanno colpito alle gambe'”. “I pirati – ha aggiunto Fiorenzano – hanno massacrato di botte un marinaio che stava di guardia. Hanno puntato le pistole in faccia alla gente ma sono riuscito a dare l’allarme. I rapinatori passavano dietro di me. Ma non mi hanno fatto nulla, forse hanno capito che stavo soccorrendo un ferito”.

Della vicenda si sta occupando l’Unità di Crisi del ministero degli Esteri in raccordo con l’ambasciata d’Italia a Città del Messico. Scattato l’allarme, la stessa la procura di Roma, competente per territorio, ha aperto un’inchiesta ed il suo titolare, il sostituto procuratore Erminio Amelio, procede per il reato di pirateria come previsto dal codice di navigazione.

La notizia quando si è diffusa nel pomeriggio a Gaeta ha suscitato una legittima apprensione da parte delle famiglie dei tre marittimi sequestrati. Troppo fresco e doloroso è il ricordo legato al lungo e ancora misterioso sequestro avvenuto, dall’8 febbraio al 21 dicembre 2011 nelle acque somale dell’Oceano indiano, della petroliera italiana “Savina Caylin”. A bordo del mercantile di proprietà della società armatrice “Fratelli D’Amato” di Napoli c’era all’epoca dei fatti Antonio Verrecchia, l’ormai 70enne ex direttore di macchina di Gaeta che non ha ottenuto ancora giustizia: dopo aver perso il lavoro, ha rimediato significativi danni di natura fisica e psicologica. Il processo è fermo da oltre un anno per l’indeterminatezza dell’età (e di conseguenza del Tribunale che deve giudicarlo) dell’unico pirata somalo arrestato dalle autorità italiane. Il legale di Verrecchia, l’avvocato Vincenzo Macari, proprio nei giorni scorsi ha chiesto il personale intervento dei neo Ministri della Difesa e degli Interni, Lorenzo Guerrini e Luciana Lamorgese.

Non è la prima volta che un’imbarcazione dell’armatore Micoperio viene presa di mira da gruppi armati: dieci anni fa, l’11 aprile 2009, la ‘Buccaneer’ venne assaltata al largo della Somalia e i 16 membri dell’equipaggio furono presi in ostaggio per 4 mesi. La liberazione avvenne il 10 agosto, dopo un lungo lavoro diplomatico. Il bersaglio non fu casuale: l’armatore ravennate Micoperi è uno dei maggiori contractor dell’industria offshore ed è attivo da più di 70 anni nel settore Oil&Gas, con la fornitura di soluzioni sottomarine in tutto il mondo. Micoperi, proprietaria di tutte le navi con cui opera, fa parte del gruppo Protan e gestisce in modo autonomo le attività di costruzione offshore. La Remas, poi, è un’unità di riferimento per l’intero gruppo romagnolo. Nata come nave progettata appositamente per accedere e operare nel mar Caspio, grazie al design all’avanguardia, alla sua flessibilità riesce a supportare differenti tipologie di operazioni offshore, tra cui immersioni, supporto alle piattaforme e sistemi di navigazione subacquea controllati da remoto (Rov). ‘Remas’ è lunga 75,42 metri, larga 16,40 metri e il pescaggio massimo è di 5,5 metri. La sua ampiezza contenuta le permette la navigazione anche in canali stretti e nei fiumi.
Saverio Forte

Il racconto di Alessandro Fiorenzano (audio)