Formia / Dispersi su Monte Ruazzo, uno dei protagonisti racconta la disavventura e ringrazia i soccorsi

Attualità Formia

FORMIA  – Qualcuno commentando la notizia dell’azione di recupero di cui sono stati protagonisti tre ragazzi sul Monte Ruazzo a Formia ha pensato che fossero stati improvvidi e – seppur tenendo ben presenti le difficoltà e gli strumenti necessari per “affrontare” ogni contesto, e non di meno la montagna, uno dei giovani protagonisti ha deciso di proporre il suo racconto della disavventura. Un’occasione, più che altro, per lui di ringraziare anche i soccorsi intervenuti per riportarli a casa. 

“La nostra storia inizia qualche giorno prima di quella sfortunata domenica. Dopo la bellissima esperienza della visita all’eremo di San Michele decidiamo di organizzare un’altra escursione sui monti Aurunci, un modo per staccarci dalla monotonia quotidiana alla ricerca di un momento di tranquillità a contatto con la natura. In totale eravamo 7 ragazzi, decidiamo di voler raggiungere la cima di monte Ruazzo sotto consiglio di uno del gruppo che conosce la zona. Pochi giorni prima alcuni di noi  controllano con l’aiuto di apposite applicazioni il percorso da fare salvandone le immagini, ci organizziamo sul luogo di incontro e sull’orario” – inizia il racconto del giovane. 

“La mattina di domenica 19 arrivati parcheggiamo le macchine poco prima del rifugio Acquaviva, con molto entusiasmo, zaino in spalla e siamo partiti. Facciamo una breve tappa per visitare la fossa di Fabio e proseguiamo sul percorso CAI 956 fino alla cima del monte. Una vista mozzafiato che mi ha dato un senso di libertà assoluta e tanta soddisfazione; nel frattempo erano circa le 13.30 e la fame si faceva sentire quindi decidiamo di scendere e accamparci sotto la vetta, in luogo pianeggiante vicino altri escursionisti. Dopo una bella pausa, qualche chiacchera con questi signori e recuperate le energie decidiamo di riprendere il cammino in modo tale da riuscire ad arrivare alle macchine  prima che il sole tramontasse” – si legge nel suo racconto.

Ed ancora: “Le nostre disavventure sono iniziate proprio in quel momento. Eravamo con il morale alto, molto entusiasti della destinazione scelta e stavamo scendendo con un passo molto sostenuto. Arrivati nel bosco, troviamo il fatidico bivio e i ragazzi aprifila non trovando il cartello segnaletico che indicava la direzione per il rifugio, decidono di svoltare a sinistra continuando a seguire le bandiere rosse e bianche del percorso CAI. Pochi minuti dopo uno di noi girandosi a controllare se va tutto bene si accorge che il ragazzo che era poco più dietro non c’era più, immediatamente iniziamo ad urlare il suo nome credendo che si fosse fermato per qualche scatto al paesaggio incantevole in cui eravamo immersi ma nulla. Non sentivamo nessuna risposta. Uno di noi lascia giubbino e zaino appesi a un albero del percorso e inizia a tornare indietro continuando a chiamarlo, noi altri lo seguiamo ma già dopo pochi metri iniziamo a preoccuparci; era davvero strano che nel silenzio del bosco non ci riuscisse a sentire. Continuiamo per un centinaio di metri ma ancora nulla, alcuni di noi hanno iniziato a pensare al peggio, forse era inciampato e sbattendo la testa aveva perso i sensi, oppure allontanandosi dal percorso per uno scatto fosse caduto in una “ciula” (una buca naturale del terreno dovuta alla sua composizione carsica) dato che queste zone montane ne sono piene”.

“In quel momento  – scrive nel suo racconto – alcuni del gruppo decidono di dividersi, tre di noi dovevano continuare a tornare indietro per cercarlo mentre altri tre proseguivano il percorso fino ad una casetta in cui avremmo aspettato il resto del gruppo. Io ero tra i ragazzi che stavano proseguendo verso la casetta, giunti al bivio la ragazza con noi si accorge della presenza di altre bandiere CAI sulla destra, ma facendo affidamento alla strada presa poco prima con gli altri svoltiamo a sinistra e continuiamo per quella via. Poco dopo sia io che la ragazza avevamo la sensazione quel percorso non fosse lo stesso dell’andata, ma il terzo del gruppo, forse spinto dalla sua forte sicurezza continuava a ribadire di essere sulla strada giusta e che ricordava alcuni dettagli. Giungiamo su una piccola altura e squilla il telefono, finalmente il segnale prendeva, così siamo riusciti a comunicare con il ragazzo ‘disperso’  scoprendo che aveva raggiunto le macchine già da un po’ e ci stava aspettando. In quel momento la tensione tra noi andava aumentando, decido di salire più in alto per cercare dei punti di riferimento, individuo il promontorio del Circeo, intravedo la nave ormeggiata nella nave nella rada del golfo di Gaeta e capisco che il percorso preso ci portava sempre più lontani dalla nostra destinazione”.

“Dopo una breve discussione con l’altro ragazzo, individuiamo una bandiera con il numero del percorso, avevamo appena preso il sentiero 958; intorno a noi stava calando il buio, la nebbia iniziava a farsi sempre più fitta, i cellulari dei due ragazzi avevano esaurito la batteria e il mio era al 10%, non avendo l’attrezzatura adatta per proseguire al buio, impossibilitati a procedere decidiamo di chiamare i soccorsi. Allertata la protezione civile di Formia, di cui conosco bene diversi membri, riesco in breve tempo a descrivergli la situazione, il luogo in cui mi trovavo e ad inviargli la nostra posizione GPS mediante l’uso di whatsapp. Un dettaglio che si è rivelato fondamentale è stata la presenza di un lungo filo spinato, successivamente sono venuto a conoscenza che delimitava il confine tra i comuni di Formia e Itri. Nel frattempo la nebbia e il buio avevano limitato la vista ad un paio di metri intorno a noi, l’ansia e la paura aumentavano, temevamo di non riuscire a più a tornare a casa, che i soccorsi non sarebbero mai riusciti a trovarci dato che al mio cellulare era rimasta pochissima carica. La nuvola che ci ha circondato era carica di acqua a tal punto da piovigginare ogni tanto, il vento freddo aumentava. Decido di spostarci poco più sotto la cima del pendio in cui eravamo, in modo tale da ripararci parzialmente. Tento di accendere un fuoco, dopo molte difficoltà causate dall’alta umidità, dalla poca disponibilità di legna asciutta, poiché nelle nostre vicinanze c’erano soltanto due alberi, finalmente si accende. La luce e il calore che emanava ci ha fatto tirare un sospiro di sollievo, almeno non saremmo andati in ipotermia. Purtroppo quel poco di legname trovato bruciava molto velocemente, quindi per le successive due ore e mezza, con intervalli di massimo10 minuti mi spostavo nella valle sotto di noi a cercare dei rami caduti da quei due alberi o qualche arbusto secco da sdradicare” – prosegue.

“Ammento – ricorda facendo il suo racconto uno dei ragazzi protagonisti della disavventura –  che la situazione non era per nulla facile, il buio mi limitava di molto la vista e infatti sono inciampato alcune volte su dei rovi di spine ma per fortuna senza riportare ferite. Mentre alimentavo il fuoco ogni tanto mi allontanavo nel punto in cui prendeva la linea per comunicare con i soccorsi. Ho ricevuto diverse  chiamate dal VER di Formia nelle quali ci rassicuravano della situazione, avevano all’incirca individuato la zona in cui eravamo e la squadra era già partita. Conoscendo personalmente le persone che facevano parte della squadra mi è passata ogni paura e sono riuscito a tranquillizzare gli altri ragazzi. I nostri soccorritori sono degli escursionisti esperti, cresciuti su quelle montagne e conoscono a memoria ogni albero, era solo questione di tempo e ci avrebbero raggiunti. Gli altri ragazzi del gruppo dopo aver capito l’errore fatto al bivio e che noi tre ci eravamo smarriti, dato il buio, hanno deciso di tornare alle macchine il prima possibile e allertare i soccorsi chiamando il numero di emergenza 112. Tutto ciò in contemporanea alla mia chiamata dei soccorsi, dopo aver parlato anche con la caserma dei carabinieri di Formia e inviato a loro la nostra posizione si mettono in contatto con la squadra del VER per coordinarsi con le ricerche”.

“Una pattuglia dei carabinieri  – spiega ancora  – era giunta nella valle sottostante, nel versante del comune di Itri, raggiunta dalla seconda squadra del VER. Grazie alla loro coordinazione e alle capacità dei soccorritori a piedi, sono giunti a noi in poco più due ore. Si sono assicurati che stessimo bene, chiedendoci se avessimo bisogno di acqua o coperte termiche e poco dopo siamo ripartiti in direzione del loro fuoristrada. Uno di loro ci faceva strada, un altro era nel mezzo per illuminarci il terreno e l’ultimo soccorritore chiudeva la fila. Abbiamo continuato il percorso CAI fin quando l’aprifila non si è reso conto che fosse troppo impervio per proseguirlo, in quel momento abbiamo deciso di affidarci alla sua esperienza ed è stato capace di orientarsi con molta facilità di notte, e con la nebbia fitta. Una cosa che ci ha aiutato molto è stata la loro simpatia e senso dell’ironia che ci ha tirato su di morale e permesso di proseguire meglio”.

E conclude: “Dopo circa 10km, due ore e mezza di cammino intervallate da alcune pause per permetterci di riposare, dato che eravamo
davvero esausti, intravediamo finalmente il fuoristrada. Ci hanno accompagnato fino al quadrivio dove ci attendeva la seconda squadra del VER, l’ambulanza e i nostri amici, anche loro molto scossi per l’accaduto e preoccupati per noi hanno preferito essere sicuri che stessimo bene prima di tornare alle loro case”.