Frosinone / Omicidio Serena Mollicone, presentato il ricorso in Appello della sorella Consuelo

FROSINONE – Novanta pagina per rilanciare e chiedere un’altra verità sul delitto di Serena Mollicone. E’ stata la sorella maggiore, Consuelo, a presentare per prima mercoledì mattina – poco dopo le 10.30 – il primo ricorso alla Corte D’Assise d’Appello di Roma contro la sentenza di assoluzione dei cinque ex imputati – Franco, Marco ed Annamaria Mottola, Francesco Suprano e Vincenzo Quatrale – coinvolti nell’omicidio e nell’occultamento del cadavere, avvenuti il 1 giugno 2001, della studentessa di Arce e nell’istigazione al suicidio dell’11 aprile 2008 del brigadiere dei Carabinieri Santino Tuzi. I legali della donna, gli avvocati Sandro Salera e Antonio Iafrate, hano depositato il ricorso presso la cancelleria del Tribunale di Cassino, lo stesso che lo scorso 15 luglio aveva assolto, dopo 51 udienze e un anno e mezzo di dibattimento, i cinque imputati per non aver commesso il fatto.

Il ricorso in appello di questa parte civile fa leva su otto punti cardine, il primo dei quali sottolinea l’attendibilità delle dichiarazioni rilasciate nella primavera 2008, alla vigilia del suo suicidio, da Santino Tuzi e, cioè, di aver visto Serena entrare il 1 giugno di sette anni prima nella caserma di Arce dove – secondo la versione dei legali di Consuelo – la studentessa 18enne di Arce sarebbe stata uccisa. E per quale motivo? Secondo gli avvocati Salera e Iafrate, Serena non voleva denunciare per spaccio di droga Marco Mottola, il figlio del comandante Franco. Era soltanto stanca dell’atteggiamento – definito “spavaldo” – del giovane, come ribadito da numerosi testi nel corso del processo di primo grado. E la prova? E’ una sit del 28 febbraio 2002 di papà Guglielmo che in Questura a Frosinone riferiva di una confessione fattale della figlia in base alla quale Serena, prima dell’omicidio sarebbe stata rimproverata da Franco Mottola. E poi i depistaggi consumati dopo la sparizione e l’uccisione di Serena: secondo la parte civile di Consuelo Mollicone “vanno considerati in maniera unitaria e non con la frammentarietà con cui sono state interpretati dalla Corte d’Assise del Tribunale di Cassino che non ha messo in evidenza le contraddizioni palesate dagli interrogatori dei cinque ex imputati e non ha ricostruito “compiutamente” la dinamica omicidiaria.

Nel penultimo giorno disponibile ulteriori sei ricorsi hanno chiesto di ribaltare la sentenza del processo di primo grado. Quello più atteso, che snoda lungo 250 pagine, è della Procura di Cassino attraverso il magistrato titolare delle indagini, il sostituto procuratore Maria Beatrice Siravo. Le si sono affiancati gli zii di Serena, Antonio ed Armida (assistiti dagli avvocati Dario De Santis e Federica Nardoni), la famiglia del brigadiere Santino Tuzi attraverso l’avvocato Elisa Castellucci. Parteciperanno al processo d’appello anche l’Arma dei Carabinieri ed il comune di Arce tramite gli avvocati Antonio Radice e Maurizio Greco.

Il ricorso più importante resta quello della Procura che ha rilanciato, di fatto, il contenuto della requisitoria del Pm Siravo: Serena il giorno della sua scomparsa andò in caserma ad Arce e da qui nell’alloggio dei Mottola dove ci sarebbe stata una lite, al culmine della quale la studentessa avrebbe battuto con violenza la testa sul montante di una porta, riportando le ferite che ne hanno provocato la morte.

L’assoluzione c’è stata la scorsa estate per tutti perché gli indizi non hanno raggiunto il carattere di vera e propria prova nel corso del dibattimento. L’estensore della sentenza pubblicata lo scorso 6 febbraio, il giudice a latere Vittoria Sodani, si era espresso in questi termini: “Numerosi elementi indiziari, ritenuti tasselli fondamentali dell’impianto accusatorio del Pubblico Ministero, non sono risultati sorretti da un sufficiente e convincente compendio probatorio”.

Su tutti, il fatto che effettivamente la ragazza fosse andata in caserma il giorno della scomparsa e la compatibilità tra la ferita sulla testa di Serena e la porta sequestrata nell’alloggio dei Mottola. Riascoltando in udienza le dichiarazioni del brigadiere Tuzi prima del suicidio, la Corte ha deciso di non ritenerle attendibili in quanto “entrambe le versioni sono in ogni caso apparse contraddittorie, incerte, confuse e mutevoli, frutto di suggestioni, ricostruzioni dal medesimo effettuate sul momento, alla luce degli elementi che venivano via via offerti. In termini logici non convince, inoltre, il fatto che il medesimo non abbia alcun modo spiegato i motivi per cui avrebbe serbato il silenzio per sette anni in ordine a una circostanza così importante”.

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