Formia / Cassa Nazionale di previdenza e assistenza Forense: avvocatessa ottiene risarcimento

Cronaca Formia

E’ stato giusto che l’avvocato A. F. abbia chiesto ed ottenuto alla Cassa Nazionale di previdenza e assistenza Forense, l’ente previdenziale italiano delle toghe, un risarcimento danni di poco più di dieci mila euro per la sua tardiva iscrizione all’Inps degli avvocati italiani. A sentenziarlo è stata la sezione lavoro della Corte d’appello di Napoli che ha confermato il provvedimento del giudice del lavoro del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 2 marzo 2020.

La dottoressa Federica Ronsini aveva riconosciuto, al termine di un contenzioso durato poco meno di tre anni, ad un’avvocatessa di 42 anni che, originaria del centro della provincia di Caserta, presta servizio presso uno studio legale di Formia dove si è trasferita dopo il matrimonio. La professionista ha chiesto ed ottenuto, attraverso il collega Daniele Lancia, che venisse condannata niente meno che cassa nazionale di previdenza e assistenza forense. Ora i giudici d’appello di Napoli (Presidente Maria Vittoria Papa, consigliere Giovanna Guarino e giudice ausiliario Lucilla Nigro) con una sentenza di cinque pagine ha rigettato il ricorso proposto dal presidente dalla Cassa Nazionale di previdenza e assistenza forense Luciano Nunzio che, assistita dall’avvocato Gaetano Cinque, chiedeva di ribaltare il pronunciamento del giudice del lavoro di primo grado.

L’avvocatessa di Santa Maria Capua Vetere aveva conseguito l’abilitazione professionale il 24 novembre 2009 e, due anni più tardi, il 21 luglio 2011, formalizzò la richiesta di iscrizione alla cassa nazionale di previdenza. Ma non ottenne alcuna riposta che arrivò molto tardivamente, dopo tre anni, il 24 ottobre 2014. L’ente previdenziale forense fu pilatesco nel momento in cui gli chiesto di versare i contributi con effetti retroattivo, dal 2011 insomma. Ma non era finito tutto qui. Perché l’avvocatessa, protagonista di questo contenzioso, il 1 agosto 2011 e l’8 febbraio 2013 era diventata mamma di una femminuccia e di un maschietto. Nel contenzioso instauratori davanti la sezione lavoro e previdenza del Tribunale di Santa Maria Goretti l’avvocato Lancia, con il supporto della stessa collega protagonista del contenzioso, aveva chiesto di farle riconoscere le due indennità di maternità alla luce dei due bambini avuti nel corso del tempo dalla stessa avvocatessa.

Nella sua difesa la cassa nazionale di previdenza aveva eccepito questa duplice richiesta come aveva fatto la cassa forense il 19 dicembre 2014: le domande di indennità andavano presentate entro 180 giorni dai due parti. La difesa dell’avvocatessa ha eccepito questa linea difensiva semplicemente rimarcando un aspetto: le due istanze di riconoscimento di indennità di maternità non erano state volutamente formalizzate perché la collega e neo mamma non sapeva ancora – quando nascevano i due suoi bambini- se la sua domanda di iscrizione alla Cassa forense stata o meno accolta. Insomma se l’ente previdenziale avesse deliberato subito quanto deciso nel 2014 – e dunque con tre anni di ritardo – la professionista di Santa Maria Capua Vetere avrebbe comunicato di essere diventata due volte mamma! La stessa Corte d’appello, alla stessa stregua della dottoressa Ronsini, ha definito valida l’applicazione del contenuto della sentenza della Corte di Cassazione numero 24705 del 2007 che aveva avuto modo di affrontare la questione degli effetti della retroazione dell’iscrizione sui termini per la presentazione della domanda d’indennità di maternità nell’ambito dell’ordinamento previdenziale forense. La Suprema Corte, in sintesi, aveva risolto questo quesito nel caso in cui la mancata iscrizione all’ente di previdenza non fosse stato imputabile alla richiedente libera professionista.

“In tal caso, infatti, non opera alcuna rimessione in termini con riferimento alla domanda d’indennità di maternità, il cui diritto risulta – ha scritto nella sua sentenza la Corte d’Appello – irrimediabilmente compresso”.

E ancora: “La condotta inadempiente della Cassa, che non ha provveduto ad adottare in termini ragionevoli il provvedimento di iscrizione non può non ridondare a carico della professionista che ha adempiuto i propri oneri – scrive testualmente la presidente della sezione lavoro della Corte d’Appello di Napoli Maria Vittoria Papa – né poteva incidere sui tempi del procedimento amministrativo di iscrizione e tanto a volersi tacere della violazione degli obblighi di buona fede e correttezza di una cassa professionale che, dopo aver ingiustificatamente omesso di adottare i provvedimenti dovuti, ritiene di potersi giovare del proprio ritardo al fine di comprimere i diritti dell’assicurato”.

La sentenza termina con un’altra bordata nei confronti della Cassa Nazionale di previdenza e di assistenza forense: “Il diritto della F. ad essere iscritta fin dalla data in cui aveva prodotto un volume di affari sufficiente non rileva in ordine all’imputabilità alla stessa del ritardo nella proposizione di una domanda che presuppone l’iscrizione e non il diritto all’iscrizione”

La controversia, innovativa sul piano giurisprudenziale (e lo ammette la stessa Cortre d’appello di Napoli) ha evidenziato due aspetti: due gradi di giudizio hanno censurato la condotta omissiva e tardiva dell’ente previdenziale degli avvocati nell’accoglimento di una richiesta di un suo associato e hanno evidenziato come siano stati calpestati i diritti legati alla maternità da parte di una donna. A prescindere che sia o meno un avvocato.