Covid-19, dagli slogan incoraggianti al timore del vaccino: cosa è cambiato dentro di noi?

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Andrà tutto bene!”, dicevamo. Lo dicevano le scritte colorate affisse alle finestre, le rubriche dedicate a questi attacchi d’arte, le urla di speranza – tra una canzone e l’altra – affacciati ai balconi. Lo dicevamo perchè la pandemia avvolgeva la Terra e la natura – sollevata, tra l’altro, dall’eccessiva presenza dell’uomo – era l’unica a poter continuare a fare il suo corso indisturbata. Così tra disegni, parole stonate e balletti improvvisati siamo andati appresso alla primavera. L’abbiamo seguita: se sbocciava lei, saremmo rifioriti anche noi. 

Abbiamo creduto che quel lockdown per proteggerci dal Covid-19 fosse uno “sprint” che ci avrebbe consegnati alla spensieratezza di una classica estate. Avremmo dovuto capire che si sarebbe trattato più che altro di una “lunghissima e sofferta maratona” in cui sarebbe stato fondamentale imparare a gestire tutte le energie, soprattutto quelle mentali. Oggi, a quasi un anno, tanti sono in riserva; è partita la “campagna vaccinale” e non tutti hanno reagito con l’entusiasmo che avrebbe potuto manifestarsi.

In questo inverno faticoso e arrivato, allora, il momento di chiedersi: perchè tutto questo? cosa è cambiato dentro di noi? Non siamo più quelli dell’ hashtag #AndràTuttoBene? Perchè, oggi, se qualcuno lo ripete dal balcone sembra farlo solo con lo sconforto di una parodia di se stessi?

Se di base, secondo lo psicologo Dott. Ilario Leccia, c’è un “analfabetismo emotivo e relazionale” che caratterizza la nostra epoca, al di là dell’emergenza Covid-19, anche l’indeguatezza di un’idea chiara della sfida che avevamo – e abbiamo ancora – davanti, non ha aiutato, né aiuta, a prepararsi ad affrontarla al meglio. Senza considerare che, in tutto il mondo, sottolinea lo psichiatra Dott. Manlio Converti abbiamo osservato “l’esasperazione di fenomeni sociali paradossali che negano la realtà della pandemia, colpevolizzano qualche entità reale o di fantasia e costruiscono realtà parallele inesistenti, ma socialmente attive e pericolose”, oltre allo scontro con la realtà di quello che chiama “effetto placebo” generato dal mantra #AndràTuttoBene.

Ma andiamo con ordine. Le conseguenze psicologiche di un’epidemia mondiale sono inevitabili.

“Ci sarà chi farà fatica a dormire – spiega il Dott. Leccia – chi non riuscirtà a disconnettersi dal lavoro e chi al contrario avrà difficoltà a tornarci, chi stenterà a uscire di casa, chi svilupperà delle vere e proprie fobie, chi entrerà in crisi con il/la partner, chi sentirà una stanchezza diffusa che rallenta qualsiasi attività, chi farà fatica a concentrarsi, chi avrà delle crisi di rabbia”. Accanto a tutto ciò si depositano anche le eventualità di altri sintomi più gravi: “depressione, ansia, dipendenze da alcool o altra sostanze; sintomi che saranno anche peggiori per chi ha vissuto, in prima persona, la perdita di una persona cara o che sono sopravvissuti al Covid”.

Per non parlare delle situazioni in cui tutto questo incontra patologie pregresse, o – entrando in una compagine specifica, quella del personale sanitario, si “ipotizza – spiega il Dott. Converti – un aumento PTSD – Disturbo post traumatico da stress”.

E c’è un allarme che lancia in particolare il Dott. Leccia: “sono molto preoccupato per gli under 18, bambini e adolescenti, che ritengo siano quelli che (contagiati a parte, ovviamente) stanno pagando il prezzo più pesante della ‘quarantena’. In un’età in cui l’incontro con l’altro, la costruzione di relazioni esterne al nucleo familiare è il perno su cui costruire la propria individuazione, la pandemia ha tolto ai nostri ragazzi le principali possibilità di interazione: sempre più spesso, nel mio lavoro, incontro studenti delle medie che, scherzando ma neanche troppo, mi dicono: non pensavo che lo avrei mai detto, ma meno male che c’è la scuola!”.

Un quadro quanto meno preoccupante, che spiega – almeno in parte – perchè quelle persone che dovevamo diventare addirittura “migliori” di quanto non fossero in quel pre-pandemia, che sembra così tanto lontano, oggi sono perfino peggiori, alle volte più egoiste, il più delle volte più egocentriche. Non è questione di colpe, né di accuse. Quello che sta accadendo è chiaramente qualcosa che nessuno avrebbe mai immaginato di vedere oltre uno schermo o una pagina distopica e il Dott. Leccia è convinto che ci sia l’affermazione di quel “principio della torta fissa”.

“Secondo questo principio – spiega lo Psicologo – le persone, soprattutto in fasi di particolare emergenza, tendono ad assumere che le risorse siano scarse ed insufficienti a soddisfare le necessità di tutti, e che gli interessi delle persone siano sempre speculari ed opposti tra loro. Si tratta di un’assunto che la pandemia ha esasperato al massimo, aumentando quindi la conflittualità”.

Una conflittualità che è lecito credere tenda ad isolare ancora di più le persone, oltre che convincerle che l’unico spazio sul quale possano ancora esercitare un controllo diretto sia quello del corpo, ritrovandoci duramente messi alla prova anche davanti alla scelta di accettare o meno la somministrazione del vaccino; “in un periodo in cui si rischia facilmente di perdere i propri di punti di riferimento – aggiunge ancora il Dott. Leccia – in cui ci si muove tra mille insicurezze, piccole e grandi, riappropriarsi della possibilità di poter decidere cosa fare del proprio corpo appare a queste persone come la sola modalità, per quanto paradossale, di esercitare una qualche forma di controllo sulla propria realtà”.

A questo si somma quella che il Dott. Converti riconosce come “l’inevitabile paura anticipatoria” connessa a “mesi di pandemia che di per sé causano una riduzione della soglia della paura”.

Queste parole ci invitano a riflettere su un altro tremendo volto della pandemia, ma ancor di più aiutano a far luce in merito agli atteggiamenti che si perpetrano di giorno in giorno: non per metterli necessariamente alla sbarra, ma prima ancora per comprenderli, facendo chiarezza sull’eventualità che possano essere viziati da quelli che potremmo definire “effetti collaterali” dell’epidemia da Coronavirus. Un presupposto che ci consegna anche all’idea che possiamo ancora diventare – usciti da quest’ “incubo pandemico” – quelle “persone migliori” che auspicavamo, esigendo per noi quella ricerca della chiarezza dell’informazione e l’accoglimento delle perplessità piuttosto che la loro demonizzazione.

D’altro canto, il Dott. Leccia indica che : “attualmente è ancora troppo presto per sapere se andiamo in contro ad una società ipocondriaca, spaventata dal contatto umano, in cui saremo sospettosi nel dare la mano ad un conoscente o nell’abbracciare un amico di ritorno dalle vacanze all’estero, e che magari in funzione di queste paure sarà ben disposta ad una serie di limitazioni della libertà personale, o se invece nel nostro futuro c’è una riscoperta della socialità dal vivo, in cui saremo meno propensi a trascorrere il tempo libero davanti ad un qualche tipo di schermo”.

Il Dott. Converti è addirittura ancor più ottimista: “Abbiamo dei dubbi sui gravi rischi legati all’istruzione e alla perdita delle capacità relazionali. Queste avranno conseguenze politiche quando le nuove generazioni saranno al potere nel mondo contemporaneamente. E’ però più responsabile dire che le nuove generazioni grazie alla quarantena sapranno gestire meglio il mondo globalizzato che noi boomers non sappiamo capire. Dobbiamo dire che effettivamente gli studi dimostrano che i giovani sono sempre più bravi a lavorare online e che questo è stato per loro un fattore protettivo psicologico, al netto dei casi di cyberbullismo. Quindi se agiremo in modo da rendere meno tradizionali i programmi scolastici e li adegueremo alle aspettative reali delle nuove generazioni, queste a livello globale saranno sicuramente migliori di noi”.