Formia / Lotta al Covid-19: all’ospedale Dono Svizzero si “curano” anche i sentimenti, la gratitudine di Marco [VIDEO]

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FORMIA- “Ero in stanza disteso sul letto, d’un tratto sento Giuseppe, il mio compagno di stanza, un signore di 78 anni, costretto ad indossare il casco per respirare, che piange. Nello stesso istante entra Silvia, un’infermiera dell’equipe dedicata ai malati di Covid, si ferma sul letto…”. E prende per mano quell’uomo. Silvia lo consola con l’empatia che nessuna professione dovrebbe trascurare. Quel sentir vicino e comune che questa Pandemia ha messo a dura prova, quel profilo umano dei rapporti, ormai caratterizzati per necessità da distanziamento e digitalizzazione.

Silvia, tra gli uomini e le donne del comparto sanitario al fronte di questa epidemia mondiale nella realtà dell’ospedale “Dono Svizzero” di Formia, ha fatto quello che, se non tutti, tanti continuano a fare, mettendo all’angolo – per un po’ – le brutture, e diventando simbolo di una resilienza tutta nostrana che sta facendo il giro delle testate giornalistiche grazie alla foto che ha scattato Marco.

Marco è un uomo di cinquant’anni di Minturno, con una vita professionale come direttore di un punto vendita di una catena di negozi di articoli sportivi. Il 30 dicembre è risultato positivo al Covid-19 ed il 5 gennaio è stato costretto al ricovero presso il nosocomio formiano per via dell’aggravamento dei suoi sintomi.

Sabato, 9 gennaio, Marco scrive un post e lo convide sul suo profilo social.

Silvia, indaffaratissima, corre su e giù nell’ospedale: è in guerra contro il COVID. Da una stanza sente il suono di un pianto, si ferma ed entra. Nella stanza c’è Giuseppe che piange nel suo casco. Silvia, nonostante la sua fretta, riflette e si ripete di non poter essere indifferente a ciò. Si siede affianco a Giuseppe e gli prende la mano. Il tempo sembra essersi fermato in questo istante. Non sembra, ma lei è un Angelo. È un angelo che potrebbe chiamarsi: Carlo Giovanna, Ester, la dottoressa Vaudo, Caterina, Francesco, Salvatore, Deborah, Rita, Carlo… Non ricordo il nome di tutti, ma alla fine non serve, sono tutti uguali. Di loro vedi solo gli occhi, occhi gentili nonostante le loro paure. Non è un santuario, nemmeno una Chiesa, e’ un OSPEDALE, ed e’ quello di Formia, il reparto emergenza covid, e loro sono gli infermieri ed i medici che tutti i giorni lottano contro questo terribile virus. A proposito, io sono il fotografo di questo scatto, sono Marco e sto combattendo anche io contro lo stesso nemico. Mandiamogli un messaggio, in qualunque modo, e se li conoscete ringraziateli. Grazie Angeli. P.s. Scusa Silvia e scusa Giuseppe per avervi rubato una foto, ma quest’istante rimarrà sempre nel mio cuore”.

E’ una scena che ha particolarmente colpito Marco, che la considera il riassunto di questa esperienza così terribile in cui risalta tanto bene. La scena è quella ritratta nella foto che accompagna le sue parole.

Giuseppe e Silvia sono uno di fronte all’altro, coperti e “mascherati” per le esigenze legate alle pratiche anti-contagio e di terapia. E’ evidente, però, che tuta, mascherina, guanti, camici, caschi non nascondo il cuore. Tra gli organi, per molti, è sempre rimasto quello comunque “esposto” agli alti e bassi di questa vicenda umana/sanitaria mondiale. Marco lo ha colto. Ha colto i battiti e ha voluto raccontarli: quelli genarati dalla sensazione di pericolo vissuta, probabilmente, da Giuseppe fino a spingerlo alle lacrime, quelli della “cura” – che passa, in primis etimologicamente, dal “cuore” – di Silvia.

“Il Covid ti straccia il corpo, ti straccia l’anima, è troppo subdolo e vigliacco – ci ha raccontano Marco, a cui abbiamo chiesto di ricordare quel momento del ricovero e quello “scatto” di umana dedizione dell’infermiera Silvia, che parla di sé mentre ricorda anche l’impegno di tutti i suoi colleghi – ma la cosa importante è far capire che chi lavora negli ospedali in queste condizioni rischia la vita ogni secondo. Io non li potrei mai riconoscere, ho visto solo gli occhi di tutti, poi sentivo i loro nomi”, ma erano lì nonostante tutto.

Marco ci ha confidato di essere tornato, proprio ieri, a casa. Non sappiamo come stia Giuseppe, ma gli facciamo gli auguri di pronta guarigione. A Silvia – e tutte le “Silvia”d’Italia e del mondo – queste parole di gratitudine e riconoscimento.