La crisi del settore agroalimentare in Europa: l’impatto del Coronavirus e delle riforme sull’etichettatura

Economia

ECONOMIA – Il buon cibo è uno dei più belli piaceri della vita e la varietà della gastronomia europea ha da sempre attirato un gran flusso di persone da tutto il mondo. Purtroppo però, come tanti altri settori dell’economia mondiale, anche quello agroalimentare ha sentito le forti ripercussioni dovute al periodo di quarantena e al distanziamento per la diffusione del Coronavirus.

Quest’ultimo non ci ha solo imposto di restare chiusi in casa, ma ha costretto tantissime attività non essenziali come quelle di ristorazione o di ospitalità a chiudere i battenti. Così facendo, la prima conseguenza negativa è stata la drastica riduzione sul mercato della domanda per i prodotti tipici.

Molti produttori locali hanno dovuto prendere misure drastiche, ritrovandosi a dover sprecare migliaia di litri di latte, tonnellate di patate o di carne bovina. La ragione è purtroppo l’impossibilità di commercializzare questi prodotti al dettaglio, dapprima per la mancanza di richiesta da parte del consumatore, e poi, per il costo eccessivo nell’adottare un packaging adatto.

Ma non è tutto, in ciascun paese Europeo, i piccoli produttori di cibi tipici rischiano di chiudere per sempre il proprio business, soprattutto nei luoghi in cui non si trovano forme alternative di consumo, promozione o dove continuano a mancare gli incentivi adatti. In Inghilterra ad esempio, piccole aziende casearie specializzate nella produzione del formaggio blu Stilton hanno visto un calo nelle vendite di quasi un terzo.

In Belgio, vi è stata una sovraproduzione di patate che dovevano essere destinate alla preparazione delle tipiche patatine fritte nei ristoranti, bar o presso i venditori ambulanti. La Francia si ritrova un surplus di formaggi pregiati, mentre l’Italia ha milioni di bottiglie di vino che non andranno vendute. Non mancano gli appelli fatti sui social come la #steaknight che invoglia gli inglesi a consumare carne e formaggi locali o la #noinonciarrendiamo nostrana in difesa degli agricoltori.

Ma se da un lato ciascun paese cerca di far nascere un patriottismo economico, dall’altro, riforme che qualche paese vogliono attuare al livello europeo sembrano volerci dividere ancor di più. Infatti mentre a causa del virus tantissimi beni restano bloccati all’interno dei confini nazionali per paura di un’ulteriore diffusione da contagio, da qualche parte di Europa arrivano riforme per nulla chiare. Una delle prime riguarda la proposta per un’etichetta nutrizionale, che però mette in gravi difficoltà la diffusione di prodotti della dieta mediterranea, considerata una delle diete più sane.

Meglio conosciuta come Nutri-score, essa non è altro che un bollino fondato su 5 colori e lettere diverse, che vanno dal verde al rosso e dalla A alla E, e che mettono in evidenza la quantità di ingredienti considerati sani e non all’interno di un prodotto. Quel che preoccupa in realtà, è la velata discriminazione verso tanti prodotti italiani Dop come l’olio d’oliva, il Parmigiano, la Grana Padano e persino il Prosciutto di Parma.

Quest’ultimi infatti sono tutti collocati tra la zona arancione e quella rossa, facendoli quasi sembrare poco indicati per la consumazione—allora che prodotti come il Coca Cola light sembrano buoni! Pur trovando già un’ampia diffusione sul mercato francese e belga, nel tentativo di autotutela, l’Italia ha di recente inviato una controproposta per un diverso sistema di etichettatura “a batteria”, Nutrinform.

È un sistema più chiaro e trasparente, che mette in evidenza l’apporto nutrizionale di un prodotto e la quantità che soddisfa il fabbisogno giornaliero. Si tratterebbe quindi di un bollino che informa il consumatore e che fa sì che il Made in Italy non ne sia in alcun modo penalizzato.

Anche se dovesse essere approvata, vi sono ancora tante incongruenze nel settore alimentare europeo che continuano ad avere ripercussioni negative sulle aziende. La nuova proposta di legge per la trasparenza dell’informazione sui prodotti agricoli e alimentari prevede l’aggiunta di informazioni online con anche l’indicazione sull’origine di provenienza.

In più, viene imposto il divieto di utilizzare i nomi comuni dei prodotti di origine animale per quelli che in realtà sono a base di piante. E se da un lato non possiamo dimenticarci del successo avuto dalle sigle Dop, denominazioni d’origine protette, e IGP, indicazioni geografiche protette, vi sono tuttora delle diatribe tra gli Stati. La Grecia, ha di recente avviato un’azione legale contro la Danimarca per la violazione del marchio Dop della feta dovuta alla produzione ed esportazione di imitazioni.

Ci sembra infatti che la promessa di un mercato unico e regolamentato su un territorio unito dagli stessi ideali, non sia però in grado di dare il sostegno adatto ai produttori locali. L’Europa, oltre a dover proteggere maggiormente i marchi e le etichette di origine geografica, dovrebbe anche implementare un sistema alimentare e commerciale chiaro e trasparente.

Purtroppo manca ancora un’autorità forte e che assicuri la non commercializzazione di prodotti contraffatti, oltre che un sostegno anche economico alle aziende piccole e detentrici di segreti culinari storici e culturali.

L’unico rimedio contro la mancanza di fiducia verso la cooperazione europea è il cambiamento radicale dei rappresentanti politici, degli Stati e dei consumatori, che sembra essere prospettabile solo dopo un periodo di grave crisi generale, come quello che stiamo vivendo.