SPERLONGA – Il coordinatore del movimento civico “Partecipazione attiva” di Sperlonga, l’ex capogruppo consiliare Nicola Reale, non sembra proprio aver digerito l’abbraccio con cui l’Arcivescovo di Gaeta, Monsignor Luigi Vari, ha salutato la sera del 31 dicembre scorso, al termine della concelebrazione (con il parroco della chiesa di Santissima Assunta in Cielo, don Gaetano Manzo) del rito del Te Deum di ringraziamento, il sindaco di Sperlonga Armando Cusani. Quella dell’ultimo anno è stata, in effetti, una delle prime apparizioni in pubblico del “riabilitato” sindaco Cusani dopo l’arresto nell’ambito dell’operazione “Tiberio” e la lunghissima (ed ingiustificata) detenzione, sia carceraria che domiciliare. Reale in questi giorni ha più volte pensato a questo episodio e, dopo aver inviato a Monsignor Vari alcuni pensieri del magistero di papa Francesco sulla gravissima emergenza della corruzione, ora è andato oltre: ha effettuato una lunghissima esegesi sul significato del perdono cristiano arrivando a dire che l’”abbraccio dell’Arcivescovo di Gaeta nella chiesa di Sperlonga (al sindaco Cusani, ndr) è un gesto privo di qualunque valore cristiano ed è, dunque, inaccettabile”.

Reale probabilmente nella lettera aperta a Monsignor Vari offre il meglio di sé in…teologia, rilancia spunti che farebbero arrossire – chissà – uno dei teologi italiani più noti e conosciuti, Vito Mancuso. Vi riportiamo sotto testualmente la sua lettera all’Arcivescovo di Gaeta. “In una poesia di Chiara Patrizia (suora di clausura nel Monastero di Santa Chiara ad Urbino) si legge: “il perdono è l’amore più grande”; è “forza di vita e di resurrezione”. Questa concezione del perdono è, a mio avviso, una delle idee fondative del Cristianesimo e, al tempo stesso, rappresenta l’idea più radicalmente rivoluzionaria che abbia mai attraversato la storia dell’umanità. Il perdono di Cristo sulla croce è una frattura che attraversa la storia dell’umanità, fino a quel momento basata sulla legge del taglione (occhio per occhio, dente per dente), che pur aveva lo scopo di porre un freno alla vendetta, equilibrando danno e risarcimento. Ma vorrei puntualizzare alcuni aspetti del significato, del valore e della dinamica del perdono cristiano. L’amore basta a se stesso, il perdono no. L’amore ha un suo intrinseco valore anche quando è un atto gratuito e unilaterale. Il perdono, invece, è un atto d’amore che, per raggiungere la sua efficacia, ha bisogno di una reciprocità: tra chi perdona e chi viene perdonato. Perché il perdono sia forza di vita e di resurrezione ha bisogno del pentimento e quindi della conversione di chi il perdono lo riceve. Altrimenti il perdono è un atto sterile, inefficace, inutile.
Inoltre sulla croce non è Gesù che direttamente perdona, ma chiede al Padre di perdonare, come a ritenere che l’offesa degli uomini che lo hanno messo a morte più che contro se stesso sia contro il Padre. Egli infatti non dice: “Vi perdono in nome di mio Padre” proprio perché il perdono può essere concesso solo da chi ha subito l’offesa e nessuno può farlo a nome e per conto di chi ha subìto il danno”. Insomma per il coordinatore del movimento “Partecipazione attiva” “il perdono è un atto di drammatica serietà, che non può essere svenduto sulla bancarella degli interessi politici”. Considerazioni importanti ma soggettive che si prestano a non poche riflessioni: un santo, qual’è Giovanni Paolo II, quando perdonò il suo attentatore, Mehmet Ali Agca, compì quella nobile scelta liberamente nel carcere di Rebibbia superando pesanti veti esistenti all’interno della stessa Curia Vaticana. L’arcivescovo di Gaeta la sera del 31 dicembre scorso a Sperlonga non ha confessato e tanto meno non ha perdonato nessuno. Educazione vuole che se in una chiesa o in un altro luogo pubblico e/o privato incontra qualcuno – sia esso un santo o la manifestazione umana di Belzebù – lo fa tranquillamente senza chiedergli il casello giudiziario. O almeno.
Saverio Forte