Cronaca

Latina / Lodo arbitrale, condannata la Camera di Commercio

LATINA – La gestione del variegato mondo delle società partecipate della Camera di Commercio di Latina è finita sotto la lente d’ingrandimento della prima sezione civile della Corte d’Appello di Roma (relatore Roberto Reali, consiglieri Francesco Ferdinandi e Elena Fulgenzi) che ha clamorosamente annullato il lodo arbitrale pronunciato a Latina il 31 marzo 2016 con cui veniva condannato il consorzio agroalimentare della Provincia di Latina a pagamento di un risarcimento di quasi 56mila euro, oltre le spese legali, per un rapporto di natura pubblicitaria a favore di tante imprese del settore, tra queste il pastificio Paone di Formia.

A stipulare il contratto furono il 28 febbraio 2003 il Consorzio agroalimentare della provincia di Latina e la Seci di Latina, una convenzione in virtù della quale sono state emesse, dal 2012 in poi, una serie di fatture per attività di immagine pubblicitaria e di marketing. Tutto bene, sino a quando l’attività prevista dal contratto di natura privatistica è cessata gradualmente ma le fatture continuavano ad essere emesse a carico del Consorzio. Molte realtà imprenditoriali quest’anomalia l’hanno posta alla Camera di Commercio di Latina per un aspetto molto semplice: la Seci era ed è una società partecipata dell’ente Camerale del capuologo pari al 98,3%. Questo contenzioso, in primo grado, non è finito davanti il Tribunale ma è stato risolto il 31 marzo di tre anni grazie ad un lodo arbitrale che aveva deciso a favore della Seci un arbitro, l’avvocato Adelindo Marangoni, nominato dal consiglio direttivo dalla stessa Camera di Commercio di Latina. Già in quella sede il legale del Consorzio agroalimentare della provincia pontina, l’avvocato Daniele Lancia, aveva avanzato non poche riserve sulla legittimità e sulla incompatibilità di una nomina esercitata dalla Camera di Commercio che controllava quasi completamente uno dei due contraenti, appunto la Seci di Latina. In effetti era stata eccepita una sorta di ricusazione ai sensi dell’articolo 815 del codice di procedura civile.

La Camera di commercio, presso i cui uffici operava la Seci, rimise all’arbitro unico nominato, l’avvocato Adelindo Maragoni, ogni valutazione circa l’eccezione di incompetenza in base all’articolo 817 codice di procedura civile ma il professionista incaricato affermò “che il decreto legislativo numero 5 del 17 gennaio 2003 ha previsto il requisito dell’estraneità dell’organo designatore solo con riferimento agli arbitrati societari, fattispecie estranea alle domande proposte nel procedimento arbitrale”. Il lodo arbitrale, alla distanza, vide soccombere il Consorzio, condannato ad onorare la parte delle fatture non pagate e le spese legali. Ma i giudici d’appello ora hanno accolto completamente la tesi dell’avvocato Lancia affermando come la nomina dell’arbitro avvocato Marangoni abbia “violato i principi del giusto processo, dal momento che lo stesso arbitro aveva riconosciuto che l’organo designatore non era estraneo rispetto alle parti”. Un principio confermato dalla sentenza numero 9114 della prima sezione civile della Corte di Cassazione del 30 agosto 1999 ma anche da quella numero 13308 della stessa prima sezione della Suprema Corte del 29 novembre 1999 secondo la quale “gli arbitri vengano nominati con il concorso della volontà dei contraenti e non siano espressione della volontà di una soltanto delle parti, in quanto il concorso di entrambe le parti nella nomina degli arbitri soddisfa un insopprimibile valore di garanzia dell’imparzialità di chi è chiamato a risolvere una controversia”.

Insomma a dirimere doveva essere una figura super partes – e non un arbitro nominato dalla Camera di Commercio – soprattutto per gli arbitrati intrasocietari. Un vulnus molto grave che è costato molto caro alla Seci che, assistita dall’avvocato Emanuela D’Adamo, probabilmente ricorrerà in Cassazione. Nelle more, però, dovrà risarcire il Consorzio agroalimentare della Provincia di Latina per circa 9800 euro per le spese legali, Iva compresa. Un risarcimento che pari al 98,3% – tanta è la quota azionaria della Camera di Commercio nella Seci – dovranno riconoscere i cittadini…

Saverio Forte

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