LATINA – Di figli, bellissimi, ne ha avuti due: Luigi e Marta. Giornalisticamente siamo un po’ tutti figli suoi che, crescendo per questo affascinante mestiere (il più bello del mondo), gli abbiamo procurato gli immancabili dolori ma anche (pensiamo) qualche gioia. Se il territorio pontino nella sua complessità è cresciuto nel corso degli ultimi trent’anni qualche doveroso merito deve essere attribuito a Massimo Santarelli, il responsabile delle pagine provinciali del quotidiano Latina Oggi di cui si ricordano in questi giorni i primi 15 dolorosi anni dalla sua prematura scomparsa. Massimo se n’è andato in silenzio – un aspetto tipico della sua indole – alla fine di novembre del 2002, aveva soltanto 39 anni ma giornalisticamente ne mostrava il doppio per bravura, esperienza e, perché no, stile. Era abruzzese, originario di un piccolissimo paese nel versante teramano del Gran Sasso, in provincia di Teramo, Montorio al Vomano e questa provenienza ha segnato molto nella sua formazione professionale: anche i centri più minuscoli e lontani da una città capuologo di una provincia devono contare ogni giorno a livello informativo. E così è stato.
Il suo apprendistato, durante il corso di laurea in lingua straniera all’Università “Gabriele D’Annunzio” di Pescara, l’ha effettuato prima in quella significativa scuola di vita che è stato ed è il quotidiano locale “Il Centro” e poi nella redazione di Pescara de “Il Messaggero”. Massimo era bravo e lo capirono ben presto quei maestri che contribuirono nell’ottobre 1988 alla nascita del quotidiano “Latina Oggi”, su tutti Paolo Brunori e Luigi Cardarelli. Il suo trasferimento dall’altra parte dell’Appennino fu determinante per il successo di quella rivoluzionaria iniziativa editoriale. Santarelli ebbe un’intuizione: bisogna essere partigiani del proprio territorio, anche dell’area più lontana (sul piano geografico e culturale) dal capuologo Latina. Un progetto innovativo sotto ogni punto di vista che convinse anche un editore sui generis qual è stato l’ex presidente della Roma calcio Giuseppe Ciarrapico. Nei confronti di quel caposervizio di assoluta ed indomita fede laziale l’imprenditore romano nutriva un assoluto rispetto e stima relativamente alla necessità di conservare (da parte della redazione) un’inderogabile autonomia, anche nei confronti della politica, e di rivendicare e formalizzare – quando era il caso – le legittime istanze di natura sindacale ed economica.
Per questo Massimo Santarelli è stato un giornalista oltremodo generoso: ha favorito moltissimi giovani cronisti della provincia di Latina ad avvicinarsi alla professione e, quando poteva, sosteneva la loro crescita professionale e contrattuale. Con alcuni di loro il rapporto di lavoro non poteva non trasformarsi in una genuina amicizia coltivata nelle rispettive famiglie (che nel frattempo si andavano formando) o praticando le medesime passioni: il mare di Roseto o di Formia, la musica e i concerti di Francesco Guccini di Roberto Vecchioni e soprattutto quella fede che Massimo aveva ereditato da papà Walter, la Lazio. Massimo Santarelli, al di là di una facile apparenza derivante dall’essere un abruzzese tosto e montanaro, aveva una profonda e qualificata sensibilità d’animo.
Chi scrive l’ha visto commuoversi in rare circostanze, forse tranne in una. Era il 14 maggio 2000, l’incontro di Perugia con la Juventus dopo il gol determinante di Calori terminò un’ora più tardi a causa di un acquazzone e la Lazio, battendo la Reggina, vinse praticamente per la seconda volta lo scudetto. Nella tribuna stampa dello stadio Olimpico piangemmo tutti come quei bambini che non vogliono andare la mattina all’asilo, io, Paoletto Sarandrea, Gianluca Atlante e, appunto, Massimo Santarelli. Vinceva la Lazio ma si affermava anche un gruppo di amici veri legati da una grande passione, quella dell’informazione. La vita – secondo una logica Eraclitea – ti porta dove non avresti mai voluto immaginare ma, forse, è anche giusto così. Molti hanno pianto in quel grigio e marmoreo obitorio dell’Icot di Roma ed il giorno dopo in occasione dei funerali nella sua nebbiosa e fredda Montorio.
Saverio Forte