Arriva una sentenza choc legata a Whatsapp, se lo fai anche tu commetti un vero e proprio reato. Potrebbe capitare davvero a chiunque di trovarsi nei guai.
Oggi vogliamo portare alla luce una novità che potrebbe riguardare molti di voi, la sentenza in questione stabilisce un precedente davvero molto pericoloso.
Molto spesso di fronte a un processo come questo ci si può trovare di fronte a degli esempi che associamo alla nostra vita, si tratta di aspetti molto delicati e che possono di fatto creare uno storico in grado di cambiare la nostra strada sotto diversi punti di vista.
Vogliamo dunque spiegarvi da vicino tutto quello che c’è da leggere su questo caso per poterlo associare a quello che accade nelle nostre vite. Siamo certi che molti di voi si troveranno a fare delle riflessioni anche importanti. Anche perché molto spesso utilizziamo strumenti tecnologici, come Whatsapp, in maniera impropria e senza accorgercene, rischiando di passare dei guai se la controparte è a conoscenza di alcuni aspetti.
Va specificato che ovviamente non giustifichiamo chi commette intenzionalmente dei reati, ma stiamo sottolineando che chi sbadatamente compie un errore sarà giustamente punito allo stesso modo e proprio per questo farebbe bene a non essere superficiale.
Whatsapp, la sentenza che cambia tutto
Una recente sentenza ha cambiato un punto di vista legato a Whatsapp, sapete che anche tra amici e parenti l’eventuale invio di messaggi a raffica può essere considerato molestia. Direttamente dal tribunale di Torre Annunziata, come ci racconta Brocardi.it, arriva questo processo storico.
Tutto nasce da una discussione, apparentemente banale, a proposito di una casa da affittare durante l’estate. Una persona è rimasta molto alterata dalla violazione di un accordo sulla turnazione e ha deciso così di andare a inviare 70 messaggi vocali audio in poco più di mezz’ora per esprimere la sua posizione.
La cognata, destinataria dei messaggi, ha visto tutto come un attacco molesto e ha sporto denuncia. Il tribunale le ha dato ragione con la sentenza numero 385 del 3 marzo 2025 definendo l’azione della prima parte della contesa come reato di molestie.
Quello che chiarisce questa sentenza è che non conta solo il contenuto dei messaggi, ma anche quanto frequentemente si vanno a inviare le date comunicazioni. Può essere considerata causa di stress e disagio psicologico nei confronti della persona offesa.
Diventa dunque a questo punto fondamentale cercare di capire come ci si possa trovare di fronte a una situazione del genere anche se 70 messaggi in mezz’ora probabilmente nessuno li ha mandati.