FORMIA – L’eco della polemica non si è ancora spenta ma la mancata commemorazione da parte del comune di Formia del cittadino più illustre che la città ha avuto nel corso della sua millenaria storia ha permesso ad un fine ricercatore ed archoleogoco qual è Salvatore Ciccone di rilanciare un’altra sua suggesstiva ipotesi unitamente all’omicidio di Marco Tullio Cicerone avvenuto il 7 dicembre del 43 avanti Cristo presso “Cajeta” e, più precisamente, presso la sua villa formiana, sull’Appia, dove fu raggiunta dai sicari di Marco Antonio giunti appositamente da Roma.
E se nell’antica Hormiae esisteva sull’attuale spiaggia di Vincidio un tempio dedicato ad Apollo? L’architetto Ciccone rilancia questa suggestiva ipotesi scientifica specificando come allora questo tempio si poteva raggiungere dalla “Torre” e “Tomba di Cicerone” – o “vico ciceriniano”, ossia la tenuta di Cicerone – attraverso un viottolo ad uso provato largo circa due metri e 20 centimetri a lastre calcaree che incrociava la via litorale identificata con quella tracciata nel 184 a. C. dal censore Lucio Valerio Flacco. Insomma questo viottolo “attraversava” quella che è la contemporanea Strada Flacca collegando, di fatto, due ville di proprietà dell’illustre oratore, avvocato e filosofo originario di Arpino “verosimilmente parte integrante di un unico podere”.
Per l’architetto Salvatore Ciccone riguardo la localizzazione della villa formiana di Cicerone, tra gli elementi tramandati vi è quello della vicinanza di un tempio ad Apollo “affacciato sul mare” (Plutarco, Vite parallele, Cicerone, II, 47), colpito nel 182 avanti Cristo da un fulmine e collocato nel territorio di Formia presso “Cajeta” (Livio, 10. 4. 1). Secondo il racconto di Plutarco, da quel tempio si levarono dei corvi per posarsi sull’alberatura della nave del fuggitivo Cicerone, costretta dal mare in tempesta a guadagnare un rifugio lungo la costa. Quasi un cattivo e funesto presagio.
Il toponimo “Vindicio”, che si legge nella forma più antica “vindici”, viene semplicisticamente fatta risalire – secondo a Ciccone – a Vindex (vindicis), il luogo della vendetta di Antonio, oppure ad un possedimento di Caio Giulio Vindice. Invece il termine oltre che “vendicatore” può significare anche “salvatore” tra i possibili epiteti di Apollo. Pertanto vindici potrebbe essere considerato come il dativo in latino, “al salvatore”, con valore locativo o dedicativo in riferimento al tempio, dominante su questo tratto di mare affidato alla protezione del dio. La villa sul mare di Marco Tullio Cicerone, corrispondente al sepolcro, si troverebbe, invece, nel tratto iniziale dell’insenatura indicata “portus Caietae”, vantaggioso approdo naturale al municipio di “Formiae”. Nella prossimità orientale della villa, dalla via Vindicio (via Flacca) sporge sul mare “una platea compatibile all’ubicazione di un tempio”.
I resti strutturali, già visibili in passato, sono risaltati in una progressiva azione erosiva del mare che fece affiorare nella parte frontale un’antica scogliera protettiva. Questa condizione è stata visibile – spiega lo storico dirigente della sezione cittadina dell’ArcheoClub – negli anni 1920-30 in alcune cartoline.
La platea reimpiegata alla fine degli anni ‘60 adiacente uno stabilimento balneare è di forma rettangolare di circa 11 metri di lato dalla strada e almeno di 25 sul fronte mare, con una altezza intorno ai due metri dal lido. È limitata da tratti di muro in “opus reticulatum” di fine Repubblica o età augustea, su fondazione cementizia che ne testimonia la massima dimensione. Particolare è la soluzione di raccordo con la via antica, certo compresa e non molto discosta dall’attuale, consistente in una deviazione obliqua del muro a 45 gradi in suo favore quale invito all’accesso. Non meno importante – ha aggiunto l’architetto Ciccone – è sulle pareti reticolate la presenza di un rinfianco di muratura cementizia come rinforzo e virtualmente di ampliamento, forse in relazione ad un evento marino che determinò la posa della scogliera protettiva. La platea si trova poi centrata rispetto ad una viuzza di antica presenza. In alcune tracce e mappe si rileva parallela a 100 metri oltre l’altra delle ville e del sepolcro, fino all’Appia. Questa disposizione relazionata alla via pubblica e a questa traversa diretta al centro dello spiazzo è un’ ulteriore indicazione – osserva Ciccone – sulla possibile relazione ad un tempio che idealmente viene spontaneo immaginare di forma circolare”.
In occasione del ripascimento della spiaggia di Vindicio, praticamente cancellata dalla poderosa mareggiata del 1987, le strutture sono state insabbiate tanto da scorgersi a malapena le parti in opera reticolata. “Con i recenti lavori di ampliamento del lungomare da parte del comune di Formia – polemizza apertamente Ciccone – piuttosto che utilizzare questo storico spiazzo, sebbene implicato a concessioni private, se ne è prodotto un altro immediatamente congiunto sul lato occidentale, celando parte delle antiche testimonianze”.
Durante gli stessi lavori venne inglobato il muro del lungomare a blocchetti di pietra realizzato dai Borboni intorno il 1850 e furono demolite le caratteristiche spallette con copertura “a bauletto” di cocciopesto. Dietro il muro, nel tratto susseguente alla piattaforma, vennero portate alla luce le strutture sostruttive cementizie della via romana e poi i resti di vasche ornate, in corrispondenza della base di villa con nicchie. Per queste vasche si è escluso che vi passasse una via, una strada, “deduzione non provata per il ridotto ambito di scavo longitudinale e non trasversale alla strada attuale, oltre che inficiata dalla documentazione e dalla stessa oggettiva situazione. Invece si può supporre una intenzionalità di monumentalizzare un tratto della strada connessa al “Formianum”, la villa di Cicerone, come del resto si rileva dagli studi recenti in funzione del recinto del sepolcro, per il quale un tratto di più di 80 metri della via Appia venne posto in piano, intervento non certo eseguibile per scopi privati.
Certo è che in questa terra si compì uno degli episodi storici universalmente noti e cruciali della storia di Roma e della cultura occidentale; sarebbe opportuno – è il monito finale dell’architetto Salvatore Ciccone – che “le testimonianze di quel periodo nel sito potessero essere parimente riconosciute e valorizzate”.
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