Gaeta / Traffico illegale di rifiuti al porto commerciale, aperta un’inchiesta della Dda di Napoli

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GAETA – Il porto commerciale di Gaeta è stato crocevia di un illegale traffico e smaltimento di rifiuti gestito dalla camorra casalese a livello internazionale con la Bulgaria? Non è la sceneggiatura di una nuova fiction televisiva sul delitto (avvenuto nel 1994) della giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e del suo fidato operatore Miran Hovratin ma l’argomento di una delicatissima indagine promossa da un magistrato di punta della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, il sostituto procuratore Fabrizio Vanorio. Lo si evince da un’autorizzazione firmata dal Gip del Tribunale del capoluogo campano Maria Rosaria Aufieri per autorizzare il magistrato inquirente a disporre le intercettazioni telefoniche ed ambientali nei confronti di un noto imprenditore del settore operante nella provincia di Caserta che, ritenuto vicinissimo al clan dei Casalesi, era finito già nei guai dal 2016 per trasporto e illecito smaltimento dei rifiuti.

La Dda campana ha cominciato ad indagare sul porto di Gaeta dopo una precisa segnalazione della Squadra Mobile di Caserta sullo svolgimento nella città portuale di Burgas, in Bulgaria, di un vasto traffico di rifiuti provenienti dalla Campania che, imbarcati al “Salvo D’Acquisto” di Gaeta dopo essere stati prelevati in diverse località campane, sarebbero stati poi smaltiti nella località bulgara che si affaccia sul mar Nero. La stessa Squadra mobile di Caserta ha evidenziato come il trasporto dei rifiuti verso il porto di Gaeta avvenisse con documenti di accompagnamento falsi ed erano prodotti da due società. Una era controllata proprio dall’imprenditore intercettato che per la gestione dei suoi traffici si avvaleva di un suo amico ingegnere, considerato un punto di riferimento direttamente in Bulgaria, e di un commercialista intercettato nel suo studio professionale.

Della conferma dell’esistenza di traffici di rifiuti verso le coste della Bulgaria c’è traccia in una segnalazione della Digos della questura di Avellino del 15 maggio 2020. Riferiva di un sequestro di containers, effettuato presso il porto di Salerno, “avente ad oggetto 521 tonnellate di rifiuti destinati alla Bulgaria che provenivano da un impianto riconducibile a tale…omissis, un imprenditore titolare di un sito di stoccaggio in Irpinia”, la cui figura era emersa nel procedimentoi a carico di questa nuova figura”.

La Dda di Napoli ha deciso di monitorare il porto di Gaeta e l’attività di questo imprenditore casertano verso il porto bulgaro anche grazie alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. Tra questi nel decreto di autorizzazione del Gip Aufieri c’è il nome Luigi Cassandra, “esponente politico” di Trentola Ducenta, che, oltre a sapere dei rapporti dell’imprenditore collegato nel settore dei rifiuti con il clan dei Casalesi, aveva appreso come questo manager dei rifiuti fosse in grado di turbare gli appalti indetti dalle stazioni appaltanti “attraverso collusioni con pubblici funzionari locali”.

Cassandra aveva definito questo imprenditore, che per molte caratteristiche ricorda il fondatore delle ecomafie, l’avvocato di Parete Cipriano Chianese che aveva molti interessi immobiliari a Formia e a Sperlonga, “un uomo di Nicola Cosentino” (ex sottosegretario di Forza Italia al Ministero dell’economia) e aveva dichiarato che lo stesso aveva deciso di introdursi nel territorio casertano nel settore della raccolta dei rifiuti con società da lui dirette. Per farlo si “stava muovendo per ottenere il nulla osta da parte del clan Schiavone, ossia da parte di quelli che erano in quel momento liberi. Sarebbe stati contattati…”

Un altro collaboratore di giustizia, Giuseppe Valente, si era espresso in termini analoghi. Si è trattato di una deposizione importante perché Valente, un dirigente del consorzio Eco 4 di Caserta, è stato condannato con sentenza irrevocabile per concorso esterno al clan dei Casalesi”. Questo imprenditore nel mirino dei giudici della Dda già nel 2015 aveva cominciato ad occuparsi di “munnezza” e gli aveva riferito che, grazie a persone ben altolocate negli ambienti del clan, si sarebbe potuto relazionare con esponenti pubblici della varie zone interessate dalla gestione dei rifiuti che avrebbe potuto corrompere.

Questo manager conosceva – si legge nel decreto del Gip del Tribunale di Napoli – anche il figlio del fondatore del clan dei Casalesi, Nicola, figlio di Francesco “Sandokan” Schiavone. Lo dicono e l’hanno messo a verbale alcuni pentiti: “Lo indicava (l’imprenditore, ndr) come una persona molto vicina a lui, ossia una persona di cui aveva piena fiducia, che lo agevolava in alcuni compiti”. Ma perché queste nuove intercettazioni che hanno a che fare con Gaeta? Semplicemente perché a questi indizi c’è bisogno di arricchire il quadro probatorio e anche perché le indagini “devono proseguire”. “E’ impossibile purtroppo – conclude il Gip del Tribunale di Napoli – ottenere risultati con un diverso strumento investigativo in considerazione del clima di intimidazione e di omertà che esiste nelle aree territoriali in cui operano le organizzazioni criminali come il clan dei Casalesi”.