Clan Mallardo – Dell’Aquila, beni confiscati a Formia, Fondi e Terracina

Cronaca Formia

Formia, Fondi e Terracina. Ha riguardato queste tre località della provincia di Latina il provvedimento di confisca di secondo grado con cui la Guardia di Finanza del comando provinciale di Roma ha trasferito – in attesa del pronunciamento definitivo della Corte di Cassazione – nel patrimonio dello Stato beni mobili, immobili ed aziende, per un valore complessivo di oltre 38 milioni di euro, sottratti ai fratelli Domenico e Giovanni Dell’Aquila, al figlio di quest’ultimo Vittorio Emanuele e ad un loro fiduciario, Salvatore Cicatelli. Si tratta di un durissimo colpo inferto alla “longa manus”, in provincia di Latina, del clan camorristico dei Mallardo, organizzazione storicamente egemone a nord di Napoli, a Giugliano e nei comuni limitrofi. Non è un caso che i fratelli ed imprenditori Dell’Aquila sino al marzo 2010, quando furono arrestati sino ad altre 9 persone, risiedievano a Formia, insieme all’altro fratello Giuseppe nel rione marinaro di Mola, in un parco residenziale di via Solaro. Il provvedimento di confisca è stato emesso dalla quarta sezione della Corte di appello che ha confermato la sentenza di sequestro del Tribunale di Latina ritenendo fondato il quadro accusatorio formulato dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, sulla base delle complesse indagini di polizia economica finanziarie avviate nel 2012 dal Gico del Nucleo di Polizia Tributaria delle Fiamme Gialle di Roma. Nello specifico la confisca di secondo grado ai Dell’Aquila ha riguardato alcune unità immobiliari di Formia e Fondi e la loro partecipazione in diverse società molto attive nel settore edilizio ed immobiliare a Fondi e a Terracina . La confisca, estesa anche nelle province di Napoli, Caserta, Bologna e Ferrara, è scaturita da una manifesta sproporzione tra il patrimonio mobiliare, immobiliare e societario e le rispettive situazione reddituali dei fratelli Dell’Aquila, del figlio e del loro collaboratore ai quali è stata confermata anche la sorveglianza speciale nei cui in attualmente risiedono. Secondo alcuni collaboratori di giustizia il clan Mallardo non era solito imporre il pizzo ma i loro esponenti di rilievo entravano “di fatto” in società con gli imprenditori taglieggiati in modo tale che le stesse vittime davano una parvenza di liceità alle attività economica svolte.